Restituire la dignità (quasi) perduta al pomodoro San Marzano. Dopo decenni di ombre sull’italian sounding oltreoceano, anche gli americani prendono atto delle insidie del mercato e vogliono vederci più chiaro. Ci ha pensato l’illustratore del New York Times Nicholas Blechman che ha ricostruito per immagini il pasticciaccio del pomodoro più conosciuto e amato del mondo.
Con sembianze da Barbapapà un po’ sanguinolento, il protagonista del mistero è proprio il tomato che tutto il mondo ci invidia, e ci invidia talmente tanto da “copiarlo” spudoratamente a danno del consumatore.
Buono è buono. Dolce è dolce. Provate a pensarlo a confronto del suo cugino vulcanico, il Piennolo. Ecco, il San Marzano pare creato dal Signore dei pomodori per far sì che lo si potesse riconoscere tra cento.
Il mio pizzaiolo di fiducia, inoltre, mi dice che tagliandolo in sezione, il vero San Marzano si riconosce dal fatto che al suo interno abbia tre “anime” che dividono appunto in tre parti la polpa (nei perini, le parti sono solo due).
Il pelato di cui tanto andiamo fieri (e no, non parliamo di Farinetti per una volta) è il migliore amico delle conserve della nonna, nonché di uno dei simboli della gastronomia di casa nostra: la pizza.
Che poi anche in Italia le pizze fatte con il vero San Marzano siano una netta minoranza, è un dato di fatto. Ma comunque gli americani ci fanno notare che, in un mondo perfetto, così dovrebbe essere.
Vero: ad esempio, lo sapevate che esiste una cooperativa di arzilli agricoltori tra i 60 e gli 80 anni a Sarno? Si chiama Danicoop e produce il San Marzano dell’Agrosarnese Nocerino DOP che è pure Presidio Slow Food.
E lo sa bene l’illustratore del New York Times che nel “Giardino del San Marzano” ci è stato e, probabilmente, si è anche reso utile. Qui si mettono a dimora le piantine solo con le mani, e tutti i procedimenti sono old school. Vengono da tutto il mondo per vedere da vicino crescere il San Marzano sulle piante, osservando la maturazione che colora di rosso i pomodori dalla cima della piante per poi scendere fino a terra.
Il Sole 24 Ore ci è stato, e dice che “il 70% della produzione del Giardino del San Marzano parte per l’Australia, la Nuova Zelanda, gli Emirati Arabi e per l’Europa. In etichetta, indicazioni precise che consentono di risalire a ogni fase della lavorazione.”
Questo è vero, lo dice il disciplinare della DOP, che coinvolge le province di Napoli, Avellino e Salerno. Ma è anche vero che la cultivar del San Marzano è presente in tante coltivazioni di tutta la Campania.
A leggere con un po’ di attenzione il disciplinare (come accade anche per altri prodotti alimentari) ci si imbatte in diciture quali “dalla strada comunale”, “segue linea ferroviaria fino alla località…”: un’Italia piccola piccola con una burocrazia grande grande.
I disciplinari per le DOP e le conseguenti pippe burocratiche sono terreno fertile per i truffaldini, si sa. E, anche dall’altra parte del mondo ci sono quelli che hanno capito come funzionano queste cose.
In California, ad esempio, producono dei pomodori che poi, sul mercato americano, vengono venduti come San Marzano “coltivati negli Stati Uniti”. Ma come? Ma non avevamo appena finito di dire che non è possibile?
Nel frattempo, in giro per il mondo, il Made in Italy viene preso a calci in faccia ripetuti e costanti. Non che sia una grande novità, spesso si parla della mozzarella di bufala e del mitico Parmesan, ma è giusto ricordare che anche i signori che raccolgono i pomodori in Campania non credo siano tanto felici di sapere che qualcuno li sta pigliando per il naso.
Tra i portavoce della faccenda del pomodoro contraffatto, c’è anche il pizzaiolo Gino Sorbillo, paladino della DOP.
Ah, se tutto fosse come dovrebbe essere. Elvis Presley non sarebbe morto con quel panino, nessuno oserebbe mettere delle patate fritte sulla pizza e il San Marzano sarebbe solo quello vero.
Solo che il mondo è un posto brutto, e parole come “controllo”e “tutela” sono parole, appunto.
Napoli violenta. Napoli a mano armata. Napoli odia: la polizia non può sparare.
L’illustratore del New York Times deve essersi lasciato ispirare dai poliziotteschi di Umberto Lenzi per questa vignetta, che racconta di forze dell’ordine impegnate strenuamente (sì, strenuamente) nella battaglia contro la contraffazione.
Ad uso del consumatore medio americano, ecco a cosa prestare attenzione quando si acquistano dei San Marzano. Ma anche a qualche massaia italiana potrebbe fare comodo un recap sulle etichette e sui prodotti contraffatti. Cercate il marchio della DOP, del Consorzio, il codice di identificazione.
Insomma, anche a costo di stare mezzora davanti al reparto dei pelati, sezionate le lattine da cima a fondo. Così anche voi starete lavorando strenuamente contro il crimine.
E poi la vecchia storia dei pomodori cinesi. Una storiaccia, a dirla tutta. Un mezzuccio che, istantaneamente, ci farebbe passare dalla parte del torto. Ma come? Si lavora per la difesa delle nostre DOP, delle meraviglie agro-alimentari del Bel Paese e poi allunghiamo il brodo con pomodori cinesi?
Sì, ma questa l’avevo già sentita. Ma sarà vero per davvero? Ma le fonti di questa informazione quali sarebbero? Ma bisogna davvero dar retta ad una vignetta?
Chiosa finale di monito per il consumatore disattento: le cose buone e vere si pagano. Anche tre volte tanto. Anche 10 volte tanto.
Pagare 30 dollari un vasetto di concentrato di pomodoro dalla Sicilia arrivato fino in un negozio di prodotti italiani nel Bronx è cosa buona e giusta. E’, con tutta probabilità, il suo valore reale.
Restano da capire solo alcune cose:
– se la polizia lavora già strenuamente, il San Marzano chi lo deve difendere?
– ma il San Marzano che viene prodotto fuori dal disciplinare della DOP è meno buono? Meno sicuro? Meno costoso?
– ma la storia dei pomodori cinesi com’è finita?
– cosa ci fanno gli americani con barattoli interi di concentrato di pomodoro?
[crediti | link e illustrazioni: NYTimes, traduzione: Valentina Campus]