La proposta di Igp (indicazione geografica protetta) per la piadina romagnola tendenzialmente è una buona notizia. Ai proponenti viene da chiedere però se li hanno guardati negli occhi i romagnoli: “dite proponenti, vi sembrano scemi?“. Di sicuro non vi assestano un pestone sul cranio se scrivete che la piadina è “un prodotto a base di farina di grano tenero con aggiunta di acqua, grassi, sale, e alcuni ingredienti opzionali”.
Nemmeno se distinguete tra “piadina romagnola” e “piadina romagnola alla riminese“ definendo diametro e spessore dell’una e dell’altra, e la rispettiva area di produzione: i comuni della provincia di Bologna a Sud del fiume Sillaro nel primo caso, tutto il territorio delle province di Rimini, Ravenna, Forlì-Cesena nell’altro (per quanto, se passate da quelle parti, una legnata dai pesaresi non ve la leva nessuno).
Ma pensare che quell’infame paragrafo non provochi forti mal di pancia nella terra dei piadaioli, consentite, è pia illusione:
“E’ consentito nella sola fase di confezionamento, l’impiego dell’atmosfera modificata e/o l’aggiunta di alcool naturale” e che può essere conservata fino a 12 mesi “in regime di congelazione o surgelazione”.
C-O-N-F-E-Z-I-O-N-A-M-E-N-T-O?
C-O-N-G-E-L-A-Z-I-O-N-E?
Già, perché negli insensibili proponenti –diversamente da noi– la piada non evoca attimi di peccato consumati mugolando di piacere davanti a un chiosco fronte mare, dove una procace piadaiola romagnola ci mette in mano un involto ancora caldo e colante squacquerone. No, quei furboni pensano alla plasticosa piada confezionata da mettere in freezer per i ritorni a casa la sera tardi, frigo vuoto e voglia di cucinare zerovirgola. Vero, pure quella ha la sua ragion d’essere, e lasciamo volentieri a Slow Food il ruolo di duri e puri (anche se sotto sotto squittiamo approvazione) però diciamolo, chiunque abbia provato le due versioni dovrebbe avere il cervello in pappa per confonderle. Siccome non è questo il caso dei romagnoli, ecco prontamente costituito l’agguerrito Partito d’opposizione all’Igp, determinato a scomodare il ministero delle Politiche Agricole e se non basta anche l’Unione Europea per cancellare il tradimento verso il loro simbolo: la piadina romagnola.
“Quando la preparazione e la produzione si fanno industria il legame con il territorio si perde” ci ha detto Giorgia Canali, fiduciaria di Slow Food Cesena. Non darete della radical chic anche a lei, vero?
[Crediti | Link: Resto del Carlino, Slow Food. Immagine: Flickr/e-Mago]