Ma insomma, quale farina ci vuole per una buona pizza fatta in casa? La risposta sta nella conoscenza delle farine stesse, purtroppo per voi che, prima di accingervi all’arte bianca con salsa rossa a mestolate, dovrete per forza di cose imparare a distinguere tipologie, pressione, estensione, tenacità.
Se a leggere di farine pare tutto sia il contrario di tutto, che slogan vuoti e pregiudizi abbiano preso il sopravvento, oggi facciamo chiarezza spiegandovi come scegliere le farine, attraverso concetti fondamentali: inutile indicare marchi a voi lettori, meglio darvi gli strumenti per scegliere da voi i mulini più adatti ai vostri impasti (e alle vostre tasche).
Poiché non vogliamo spaventarvi (troppo) con i tecnicismi, partiremo dai concetti più semplici per arrivare a quelli più complessi, dalla definizione di farina, grano tenero e maglia glutinica fino a stabilità e assorbimento minimo, passando per “i tipi” di farine e l’Alveografo di Chopin. Poi, alla fine, vi diremo anche quale farina usare per ogni tipologia di pizza, promesso.
Presto avrete, chiare, tutte le cose da sapere per sapere quale farina scegliere e usare per impastare la vostra pizza fatta in casa. Pronti? Che la forza sia con voi. W!
Farina: una definizione
Diamo anzitutto qualche definizione: per farina alimentare si intende un prodotto della macinazione di semi, cereali o frutti secchi di svariate piante.
È possibile ottenere farina di grano, mais, farro riso, orzo, avena, segale, castagne, mandorle, grano saraceno e tanto altro ancora.
Comunemente però con il termine farina si è soliti indicare la farina di grano tenero, la più utilizzata in panificazione e in pasticceria; la farina di grano duro invece prende il nome di semola.
Grano tenero: non disdegnatelo
Il motivo della grande diffusione di questo cereale è presto detto: tra tutti, è quello con le caratteristiche tecniche più adatte alla panificazione.
Certo, con le dovute accortezze è possibile realizzare prodotti lievitati anche con altre farine, ma ciò non toglie che si debba scendere a determinati compromessi, anche per quanto riguarda il prodotto finale.
Il grano tenero è in grado di conferire struttura e stabilità alle preparazioni dedicate, standardizzando i processi e rendendo più semplici e maggiormente replicabili i risultati ottenuti.
Lasciate perdere le leggende metropolitane e le dicerie sulla fantomatica letalità di questo cereale, sulla superiorità dei grani antichi (di cui già abbiamo ampiamente parlato) o sulla diatriba sulla macinazione; se una farina è di buona qualità, tanto vi basta. L’unica regola da seguire è la seguente: dovete scegliere il prodotto più adatto per il risultato che volete ottenere.
La farina di grano tenero è in grado di regalarvi un’ottima pizza, leggera, sviluppata e ariosa, oltre a rendervi la lavorazione più semplice e controllata. Esistono centinaia di professionisti in grado di realizzare prodotti degni con altri cereali, ma senza dubbio non è il modo migliore per partire da zero, senza una solida base a sostegno.
Il glutine è nostro alleato
Il grano tenero è il cereale in grado di sviluppare il maggior quantitativo di glutine in assoluto.
Ma che cos’è il glutine?
La farina di grano tenero è composta per la maggior parte da amido (64%-74%) e proteine (9%-15%), principalmente glutenina e gliadina. Queste, a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro e formano un complesso proteico chiamato glutine, creando una specie di maglia elastica (la maglia glutinica) che durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito.
Anche qui, lasciate perdere le fandonie sulla tossicità del glutine, vi prego.
Checché ne dicano i catastrofisti, si tratta di un complesso fondamentale per la maggior parte dei prodotti dell’arte bianca. Senza il glutine (a meno di casi di celiachia, certo) non esisterebbe la vostra amata pizza.
Tipi di farine. L’abburattamento: tipo 00, 0, 1, 2 e integrale
Assunto che il grano tenero è la farina ideale per realizzare un’ottima pizza fatta in casa, andiamo a snocciolare le motivazioni nel dettaglio.
Premessa: ciò di cui tratteremo d’ora in avanti vale solo ed esclusivamente per il grano tenero.
Esiste, di fatto, una convenzione specifica in ogni paese atta a distinguere la tipologia della farina.
La legge italiana prevede una classificazione in base al contenuto di minerali e più precisamente alle ceneri, ovvero ciò che rimane dopo aver bruciato la farina (i minerali e i loro ossidi non bruciano).
Più è basso il contenuto di ceneri, più la farina è stata prodotta con il solo endosperma, più è bianca.
E’ possibile distinguere sostanzialmente 4 tipologie:
Raffinazione | Umidità max | Ceneri min | Ceneri max |
00 | 14,5% | – | 0,55% |
0 | 14,5% | – | 0,65% |
1 | 14,5% | – | 0,80% |
2 | 14,5% | – | 0,95% |
Integrale | 14,5% | 1,3% | 1.70% |
Le prime due farine (“00” e “0“) sono le cosiddette bianche, le farine “raffinate”, adatte a prodotti che necessitano di equilibrio e di leggerezza nel gusto, e dove la poca parte cruscale evita di interferire con la maglia glutinica e con l’espansione.
Tipo 1 e 2 sono le cosiddette semi-integrali, farine con una buona parte cruscale presente che dona sapore e, se la materia prima è realizzata a dovere, agevolano anche l’assorbimento. Oggi tecniche molitorie moderne permettono alle selezioni migliori di queste farine di raggiungere risultati ottimali anche per preparazioni che fino a qualche anno fa erano limitate alle bianche.
L’integrale infine è la farina con il più alto contenuto di ceneri; nel caso della molitura a pietra naturale viene sostanzialmente macinata e messa nel sacco. Logicamente, a causa del grosso contenuto di crusca presente al suo interno, i prodotti risultanti saranno meno voluminosi e più pesanti, ma molto profumati.
Again, evitate come la peste chiunque vi propini storie sul veleno della farina raffinata o della macinazione a cilindri.
Le caratteristiche reologiche delle farine
Definire la tipologia di farina tuttavia non basta.
Ci sono 00 più adatte alle crostate, altre ai panettoni, a lievitazioni lunghe, medie, corte.
Scansatevi quindi dalle “ricette” che vi propinano solo la tipologia di farina senza darvi la benché minima informazione tecnica, perché non è possibile generalizzare in alcun caso; stiamo parlando dell’ingrediente principale di tutta l’arte bianca, e ogni processo deve essere costruito sulla base della farina utilizzata.
Il motivo?
Ogni farina che un mulino vi sta vendendo è, già di per sè, uno specifico mix di grani differenti, con determinate caratteristiche tecniche.
Mescolando vari grani quindi, un mugnaio sarà in grado di fornirvi un prodotto più o meno adatto alle vostre esigenze.
Come sceglierle quindi?
Ci vengono in aiuto le cosiddette caratteristiche reologiche, una serie di misure chimiche e fisiche per classificare ancor meglio le farine e indirizzare il cliente finale all’acquisto.
La forza della farina: il punto W.
L’indicatore senza dubbio più conosciuto è il W, impropriamente detto la forza della farina.
Viene valutato tramite uno specifico apparecchio chiamato Alveografo di Chopin, una macchina dove viene soffiata dell’aria nel centro di un disco di pasta di peso e idratazione standard per produrre una bolla (in modo da simulare l’effetto della lievitazione) e misurare la capacità dell’impasto di trattenere il gas.
Sotto l’effetto della pressione dell’aria la bolla si espande sino a rompersi; il risultato di questa prova è un Alveogramma, che riporta un grafico della pressione (P) in funzione dell’estensione (L) della bolla di impasto.
Dall’area sottesa alla curva si può calcolare l’energia totale spesa per rompere l’impasto; questa energia viene indicata con W.
P e L sono altri due indicatori molto utili per cercare di comprendere il comportamento di una farina; il primo ne rappresenta la tenacità, il secondo l’estensibilità. Dividendoli tra loro si ottiene l’indice P/L, il cui valore di riferimento è 0.5.
Valutare insieme W e P/L è un’ottima partenza per indirizzare l’acquisto di una farina; biscotti, grissini e crostate richiedono W e P/L bassi, mentre prodotti lievitati W e P/L alti.
Forza (W) | Utilizzo |
90-130 | Biscotti, frolla |
130-200 | Grissini, crackers, pasta |
200-300 | Pane, pizza, impasti diretti |
300-340 | Pane, pizza, impasti indiretti, bighe, lievitati |
340-400 | Pizza, impasti indiretti, lunghe lievitazioni (48 ore), pandoro, panettone |
In generale è possibile approssimare il discorso in tale maniera: più un prodotto richiede lievitazioni lunghe più serve una farina con un W elevato, in modo da trattenere meglio l’anidride carbonica prodotta nella fermentazione. Tali farine sono dette “farine di forza” perché oppongono una grande resistenza alla deformazione della maglia glutinica.
Inoltre il glutine è in grado di assorbire acqua per una volta e mezza il suo peso, quindi più è forte la farina e più può essere alta l’idratazione del prodotto finito.
Purtroppo capita raramente che nei supermercati tali valori vengono specificati sulle confezioni, e spesso le poche farine che li presentano peccano in qualità e non soddisfano realmente le caratteristiche che dovrebbero avere.
Esistono delle tabelle che convertono la percentuale di proteine in W, ma si tratta di un’approssimazione molto grande, perché non tutte le proteine sono in grado di creare glutine.
Spesso è possibile richiedere le caratteristiche tecniche ai mulini, con una premessa importante: se non dovessero mandarvi la scheda tecnica completa vi conviene dubitare della loro serietà.
Stabilità e assorbimento minimo: oltre la forza
Con il progresso e i miglioramenti tecnologici il mercato delle farine è letteralmente esploso.
Oggi si trovano prodotti di tutti i tipi, adatti a qualsiasi esigenza, che vi portano ad una considerazione fondamentale che dovete tenere sempre a mente: a parità di tipologia e di W (le due classificazioni più diffuse) due farine di due mulini differenti possono essere (e probabilmente saranno) completamente diverse.
Capita continuamente: provate una 300 W di un mulino e faticate a far assorbire il 70% di acqua, poi ne prendete un’altra e tirate fuori un 80% di idratazione completamente asciutto.
Poi prendete una tipo 1 340 W, ma dopo 10 minuti di impastamento la massa cede, e soprattutto dopo l’ultima lievitazione la pasta è sempre troppo estensibile; comprate una 340 W tipo 1 diversa, e con lo stesso tempo di riposo è addirittura quasi tenace.
Come è possibile?
Beh, semplicemente il W non è tutto, anzi.
Più importante ancora, a parer mio, sono le caratteristiche reologiche valutate tramite il Farinografo di Brabender, che registra graficamente la fase di impastamento di farina e acqua, misurando la resistenza opposta dall’impasto in funzione del tempo e riportando 4 indicatori importantissimi:
- Tempo di sviluppo dell’impasto: il tempo minimo di lavorazione necessario per sviluppare al meglio il glutine, passando da una fase puramente di miscelazione a quella vera e propria di impastamento; ricordatevi, a tal proposito, che mescolare e impastare sono due cose completamente diverse.
- Stabilità: quanto tempo di lavorazione può sopportare prima di iniziare la fase di rammollimento, ovvero dove l’impasto inizia a perdere la sua struttura ottimale.
- Indice di caduta: in quanto tempo l’impasto perde la sua consistenza.
- Assorbimento minimo: l’assorbimento farinografico minimo necessario per raggiungere una consistenza specifica.
Ora, vi basta confrontare anche solo i dati di stabilità e di assorbimento minimo di due farine di uguale tipologia e W provenienti da due mulini diversi per accorgervi dell’enorme differenza; alcune assorbiranno di più altre di meno, alcune avranno una stabilità in lavorazione minore altre potranno resistere a sollecitazioni più alte.
Tutto dipende dai grani utilizzati e dall’abilità del mugnaio nel trattare le farine.
Ad ogni pizza la sua farina
Appurato che esiste una grande variabilità di condizioni, veniamo al punto: non esiste la farina perfetta in senso assoluto ma quella più adatta per le vostre esigenze e per i prodotti che amate realizzare.
E l’unico modo per accorgervene è provare, provare e provare.
Sperimentate, cambiate tipologia, mulino, realizzate più prodotti in maniera trasversale fino a innamorarvi definitivamente (oppure no) di qualcosa di specifico. Io posso darvi un’indicazione per iniziare, ma ricordatevi che è un fattore molto soggettivo.
Usate queste farine (ovvero, farine con queste caratteristiche) in base a queste tipologie di pizze:
- Farine con W 240-260 e un assorbimento minimo del 55-58% sono adatte per pizze tonde, napoletane e scrocchiarelle romane con lievitazioni brevi, dalle 6-8 ore a temperatura ambiente o fino a 12-18 a temperatura controllata;
- Farine con W 270-300 e con un assorbimento minimo del 60-62% sono adatte per pizze tonde, napoletane, teglie romane e pizze al trancio con lievitazioni medie, dalle 12 ore a temperatura ambiente fino alle 24 a temperatura controllata;
- Farine con W 320-360 e con un assorbimento minimo del 65% sono adatte per pizze in teglia romana ad alta idratazione con lievitazioni lunghe, fino alle 48 ore a temperatura controllata.
Perché fino a 48 dite?
Perché, come abbiamo già avuto modo di ricordare più volte, esagerare con le ore di maturazione ha veramente poco senso se non per esigenze di tempo.
Ricordatevi sempre infatti che il vostro impasto è di fatto una riserva di zuccheri, necessari per la produzione di anidride carbonica da parte del lievito e per la celeberrima Reazione di Maillard che in cottura vi regala quella crosta bruna e saporita che tanto ci fa amare la pizza.
Esasperare la maturazione/lievitazione ha come unico risultato quello di restituirvi un impasto scarico di zuccheri, che in cottura non gonfia, rimane pallido e fatica a cuocere, risultando persino indigesto al contrario di quanto si afferma.
[Crediti: Giovanni Tesauro, Gabriele Raimondi, Dario Bressanini | Immagini: Giovanni Tesauro, Alessandro Trezzi, Chiara Cavalleris, internet libero]