“Se fai la pizza in casa, dovresti usare il lievito madre, viene più buona e digeribile.”
“Se usi il lievito di birra l’impasto cresce troppo in fretta e ti gonfia la pancia.”
“Hai visto come si gonfia la pellicola messa sulla ciotola? Tutta quell’aria finisce nel tuo stomaco e lo danneggia sempre di più.”
Sì, l’ultima frase non me la sono inventata, l’ho realmente sentita dal vivo e ho avuto i brividi.
Nonostante i grandi passi avanti fatti nella comunicazione, ancora oggi è difficile rovesciare completamente la noiosa credenza che il lievito di birra sia dannoso per il nostro povero corpicino, e che il lievito madre sia invece l’unica salvezza possibile. La verità è semplice: non esiste assolutismo nella panificazione, e ogni prodotto ha generalmente un processo consigliato per svariati motivi.
La pizza, ad esempio, predilige l’utilizzo di lievito di birra (con metodo diretto o indiretto) per ragioni ben specifiche. Vogliamo vedere insieme quali?
Pizza fatta in casa: le caratteristiche perfette
Come ormai vi ho abituato, elaboriamo i nostri ragionamenti dalla fine, fissando bene l’obiettivo che deve pararsi davanti e capendo come arrivarci.
Anzitutto distinguiamo la tipologia, perché di pizze ne esistono tante; come spesso ho accennato, la miglior espressione riproducibile in casa con strumenti alla portata di tutti (alias – le vostre mani, le vostre teglie e il vostro forno a incasso) è la pizza in teglia alla romana, della quale potete trovare il metodo completo (processo, ingredienti e ricetta finale) a questo link.
Ebbene, la teglia romana perfetta deve avere queste caratteristiche:
- Crosta friabile, sottile e croccante;
- Mollica morbida, asciutta e aperta (non ho appositamente detto “alveolata”, non ci interessano le macro sulle mono-grotte per riempire Instagram);
- Morso corto, leggero ed evanescente.
Quali sono invece le caratteristiche che NON deve avere?
- Crosta dura, biscottata e tenace al morso;
- Crosta morbida, bianca e poco cotta;
- Mollica compatta, chiusa e schiacciata, oppure troppo aperta, strappata e con distribuzione eterogenea degli alveoli;
- Morso lento, gommoso, masticazione prolungata.
Ovviamente, se riusciamo ad aggiungere aromi e profumi a crosta e mollica tanto meglio, ma tenete sempre presente che nel 99% la pizza viene condita, e il sapore dell’impasto sarà sempre in secondo piano.
Ciò non significa che le caratteristiche organolettiche non siano rilevanti, bensì puramente soggettive: ognuno di voi può scegliere se dare carattere al proprio impasto oppure mantenerlo equilibrato e concentrarsi sui topping.
Il metodo condiviso poco sopra prevede l’utilizzo di una buona farina di tipo 1 macinata a pietra, proprio per consentirvi di entrare in questo mondo e decidere se restarci.
Come come? Non sapete come scegliere le farine per la vostra pizza? Anche in questo caso abbiamo l’articolo che fa per voi.
Bene, ora che abbiamo definito le caratteristiche della pizza fatta in casa perfetta, rifacciamo una breve overview di lievito madre e di birra, per poi trarre le dovute conclusioni.
Il lievito madre
Ormai dovremmo aver imparato a conoscerlo bene, ma un ripassino non fa mai male.
Il lievito madre è un impasto di acqua e farina lasciato maturare per un tempo più o meno lungo. Durante questo periodo i lieviti (per lo più saccaromiceti) e i batteri lattici e acetici (omofermentanti ed eterofermentanti) presenti nell’aria e nella farina avviano il processo di fermentazione.
La sua gestione richiede una pratica di “rinfresco” a intervalli regolari, che consiste nel re-impasto di una parte di pasta con acqua e farina, in modo da mantenere attiva la fermentazione e quindi il suo ciclo di vita.
Al suo interno comprende diverse famiglie di batteri e lieviti, in rapporto di 100:1; i batteri si dividono in omofermentanti (fermentano il glucosio producendo acido lattico) ed eterofermentanti (fermentano il glucosio producendo acido lattico, acido acetico e CO2).
I lieviti, dal canto loro, fermentano il glucosio producendo etanolo e CO2.
I pregi del lievito madre sono dovuti in particolar modo alla fermentazione lattica, che produce acidi organici che migliorano i sapori, i profumi e lo sviluppo degli alveoli. L’acidità dell’impasto garantisce inoltre più resistenza contro i microrganismi causa della crescita delle muffe, fattore che aumenta notevolmente la shelf-life (durata) dei lievitati; pensate ad esempio al panettone (definibile come tale solo se realizzato con lievito madre) che, grazie anche a grassi, zuccheri e umidità, riesce a durare anche qualche mese.
Il rovescio della medaglia è la gestione laboriosa del lievito madre (i cosiddetti rinfreschi), specialmente per il contesto domestico; inoltre soprattutto nel primo periodo di “vita” del pre-fermento è soggetta a non pochi sprechi, come abbiamo riassunto nei metodi di preparazioni della pasta solida e liquida.
Un lievito madre troppo acido infatti può compromette la struttura degli impasti, e si rende quindi necessario stabilizzare il pH intorno a 4.1, valore ottenibile con la tecnica dei rinfreschi, di cui parleremo a breve.
Dato che solo i veri scimmiati avranno in casa pH-metro per misurarne il valore preciso, in alternativa può essere utile affidatevi ai vostri sensi, annusando l’impasto per percepirne il profumo equilibrato che dovrà ricordare quello dello yogurt.
Il lievito di birra
Il lievito di birra, al contrario, è una coltura localizzata contenente un solo ceppo di microorganismi (Saccharomyces cerevisiae). La pasta madre è un vero organismo vivente, con all’interno diverse famiglie di non solo di lieviti ma anche e soprattutto di batteri.
Il Saccharomyces cerevisiae è tra i ceppi più attivi e rapidi, e consente di avere un controllo maggiore sul processo di fermentazione rendendolo più certificato.
In commercio è reperibile sia fresco (in cubetti da 25 grammi) che secco (in bustine da 7 grammi); la proporzione di utilizzo del secco è di circa 1/3 rispetto al fresco, ma considerando che non è immediatamente attivo (e quindi più pigro) in genere si consiglia di utilizzarne circa la metà.
Ovviamente non sta scritto da nessuna parte che il cubetto non può essere porzionato e che va invece aggiunto interamente (come ho spesso sentito). A seconda del suo dosaggio e della temperatura alla quale avviene il riposo, la fermentazione può essere più o meno prolungata.
É inoltre possibile aggiungere il lievito di birra all’impasto in due diverse modalità, rispettivamente tramite metodo diretto o metodo indiretto.
Nel primo caso il lievito viene inserito in un unico momento storico (ma secondo una sequenza ben precisa) insieme al resto degli ingredienti (farina, acqua e sale).
Nel secondo caso invece, lievito e una parte di acqua e farina vanno a costituire il cosiddetto pre-impasto, che fermenterà per un certo periodo, fino a quando sarà aggiunto al resto della farina, dell’acqua e al sale per formare il re-impasto definitivo; due esempi di metodo indiretto sono biga e poolish, che abbiamo già avuto modo di trattare.
Il confronto
Quindi, a conti fatti, qual è il lievito migliore per la pizza perfetta fatta in casa?
Soprattutto per la teglia, abbiamo necessità di lavorare con un forte sviluppo, graduale ma costante, in modo che crescendo il nostro impasto acquisti forza, struttura, e che al contempo le reazioni enzimatiche semplifichino le proteine rendendo la maglia più estensibile e responsiva al rigonfiamento in forno.
Grazie a tali premesse, il nostro prodotto risulterà più leggero, aperto e quindi evanescente e scioglievole al morso.
Ci interessano profumi particolari? Sì, ma possiamo raggiungerli con una farina (o perché no, una miscela di farine) apposita, o volendo anche con il metodo indiretto.
Ci interessa una shelf-life più duratura?
Direi di no, la pizza tendenzialmente la cuocete per mangiarla all’istante, e se dovesse avanzare potete sempre congelarla per un successivo rigenero.
Ci interessa una struttura più sostenuta?
Sì e no, tutto ciò che ci interessa può fornircelo, ancora una volta, farina e metodo.
Di fatto, oltre ad avere una gestione più complessa e non così scontata, la coltura batterica del lievito madre entra in gioco quando sono necessari importanti sviluppi nella struttura, nel sapore e nella shelf-life, come nel caso del pane o dei grandi lievitati. In questi casi sì che avete bisogno di un’impalcatura adeguata, per poter sorreggere forme da 2-3 chili di pagnotta o la grande quantità di grassi, uova e sospensioni di un panettone.
Tali caratteristiche sono abbastanza inutili in una pizza dalla struttura relativamente bassa, coperta dagli ingredienti e che vi pappate seduta stante.
A determinare la digeribilità della pizza non è l’agente lievitante, bensì una cottura condotta con criterio, supportata da un corretto equilibrio tra maturazione e lievitazione che possa aiutarvi ad aprire il più possibile la struttura, asciugandola durante la permanenza in forno e cristallizzando gli amidi.
Mettiamo le cose in chiaro: volete fare una pizza con il vostro lievito madre? Fatelo, e vi dirò di più, la panificazione con pasta madre è soddisfacente e accattivante; l’importante però è comprendere che non è garanzia assoluta di qualità, anzi, è una strada ben più ardua di qualsiasi altra.
Il lievito madre non è la panacea di tutti i mali: se gestito malamente, l’unico risultato che avrete sarà un prodotto acido, poco lievitato, che cuocerà male e che risulterà quindi pesante e cattivo.
E noi la pizza cattiva no, non la vogliamo.