SCENA UNO: l’uomo è entrato nel ristorante brandendo l’ipad come il cartello di un autostoppista. Ha fatto un giro dei locali, filmando tutto al suo passaggio: l’arredamento, i clienti, i piatti.
Lo chef se ne ricorda ancora. Lo classifica nella categoria degli ossessivi. Sono una minoranza. Gli altri tirano fuori il loro smartphone con discrezione. Fanno foto ricordo per postarle su Facebook o per mostrarle agli amici.
Ci sono coppie che si inviano le immagini di ciò che mangiano a pranzo. Soufflè di asparagi e animelle di vitello, è così romantico… Nelle cucine si grattano la testa.
SCENA DUE: un piatto di tagliolini. Una verticale di vini toscani. Una brioche che lievita in forno. Una pancia di capretto. Un vassoio di cupcakes con top di formaggio Philadelphia [sic!].
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Ho aperto Instagram, quelle che vi ho descritto sono le foto dei miei contatti nelle ultime sei ore. Non solo foodblogger, chef o presunti tali, enostrippati. No, persone normali, che non sono in fissa per il cibo come me e voi.
Persone che ancora poco tempo fa non condividevano sui social media ogni singolo pasto consumato, dal minestrone surgelato al menu degustazione del ristorante con stelle Michelin. Non ne sentivano il bisogno.
SCENA TRE. Da xyz (uno dei ristoranti bolognesi meglio frequentati) si discute del nuovo problema con cui il locale deve confrontarsi. Lo stesso che hanno avuto le chiese con l’arrivo delle videocamere per le comunioni. Bisogna impedire che rovinino l’atmosfera o bisogna adattarsi per tenersi i clienti?
A un blogger che chiedeva perché mai non avesse il diritto di fotografare il suo piatto il cameriere ha risposto: “Perché è fatto per essere mangiato”. Ma molti chef si mordono la lingua.
“Vengono solo per la risonanza che mangiare qui avrà su Twitter o Facebook. Durante il pasto passano tutto il tempo a rispondere ai commenti. Non ascoltano il cameriere. La tavola è morta…”. Chi pensa che sia una questione generazionale, sappia che lo chef ha 33 anni.
Se finora abbiamo rubricato il fenomeno come mania divertente (guardate qui) e solo vagamente tediosa, dobbiamo ricrederci: il passo verso la patologia è breve, e la strada per l’inferno lastricata di carbonare in bianco e nero.
Ora scende in capo la scienza che attraverso le sembianze di Valerie Taylor, direttrice del reparto psichiatrico dell’università di Toronto, spiega che instagrammare compulsivamente il cibo (“foodstagramming“) può segnalare una vera malattia.
Il sintomo principale è la monomania, quando tendiamo a escludere dalle nostre foto qualunque cosa non edibile: niente romantiche vedute, teneri gattini o amici sorridenti, solo l’inarrivabile poetica di una cotoletta che ha intriso d’unto un foglio di Scottex (quello non fotografato, rovinerebbe la composizione).
Per gli chef contrari –il divieto di fare fotografie è ormai un contrassegno del lusso tra le tavole newyorchesi– la vera soluzione sarebbe poter installare in sala un apparecchio che impedisca di collegarsi alla rete. Ma arrivare a tanto non si può, persino i musei non possono più proibire le foto. Alcuni di loro appongono sul menu l’immagine di una macchina fotografica sbarrata. “E per proteggere gli ossessivi da loro stessi, perché possano godere pienamente del momento”.
Poi ci sono i favorevoli. Cuochi soddisfatti se il nuovo piatto del menu lo vedono subito tutti. Le foto e la loro condivisione accellerano le mode, garantiscono il tutto esaurito. Quindici anni fa, bisognava andare al ristorante per tre mesi prima di accorgersi che gli hamburger andavano di moda. Oggi, bastano due minuti su Instagram.
Proibire le foto per difendersi dagli imitatori è pretenzioso, temere la brutta foto, lo scatto male illuminato, la cattiva angolazione è uno spreco di energie, in fondo, è solo cucina!
Ecco, è il momento di mettere una mano sul cuore e l’altra sullo smartphone, se siete di quelli che ogni giorno riversano vagonate di scatti gastronomici su blog e socialné, controllate gli ultimi e identificatevi:
vittime anche voi dell’ossessione digitale da cibo cercate terapie?
[Crediti | Link: Pohtpof, Repubblica, immagine: Gawker]