Le mie amiche ne vanno matte. Nell’attesa di indossare il primo bikini di stagione (o proprio per averlo indossato con un po’ di disagio lo scorso weekend), si scambiano indirizzi di dove acquistarli al miglior prezzo e ricette per renderli appetibili. Perché, diciamoci la verità, gli shirataki “san de poc”, come si dice a Milano.
Ma l’apporto calorico è prossimo allo zero, e questo in alcuni casi fa passare decisamente in secondo piano l’aspetto gastronomico.
[related_posts]
Per chi non lo sapesse, dicasi “shirataki” un tipo di noodle ricavati dal konjac, pianta di origine asiatica ricca di glucomannano, fibra alimentare che, come tutte le fibre, è per definizione indigeribile, ovvero passa attraverso il sistema digerente senza che il nostro organismo ne assorba praticamente nulla.
Ecco perché, da 100 grammi di questo prodotto, ricaviamo una manciata di calorie ridicole (nei noodles da me acquistati, comprese fra 5 e 7).
Inoltre, la consistenza gelatinosa e il fatto che, a contatto con l’acqua, il glucomannano aumenta di volume, danno un senso di sazietà che, per chi segue una dieta, è una manna dal cielo. Così, il konjac è entrato di diritto fra gli alimenti prediletti delle diete low carb, Dukan in testa.
[Disclaimer: questo NON È un post sulle diete low carb, ma su un ingrediente]
Non se ne producono solo spaghetti ma anche, per esempio, il konnyaku mai, che è una specie di finto riso, dei buffi “nodini” (una sorta di matassine arrotolate), gnocchi e altri formati, che spopolano nei negozi etnici o di alimentazione alternativa.
Ne esiste una versione secca, da reidratare prima dell’utilizzo, ma nella forma classica i derivati del konjac sono immersi in un’acqua di governo che deve essere sgocciolata prima di cucinare gli shirataki (o uno degli altri prodotti), che poi vanno sciacquati sotto l’acqua corrente.
La tecnica di cottura è più una tecnica di insaporimento. Di fatto gli shirataki non si lessano né si scottano ma si saltano in un condimento. E che sia buono, mi raccomando, perché come dicevo “san de poc”. Io li ho provati di due marche e in due versioni differenti.
La prima ricetta, di ispirazione orientale, è stata preparata con gli Shirataki Asiatica, 2,79 euro all’Esselunga per 200 grammi di peso sgocciolato (in pratica una porzione, non troppo abbondante in verità) e 14 calorie totali, saltati qualche minuto nel wok con una julienne di carote, sedano, cipollotto, 1 cucchiaino di olio di sesamo, 1 di olio di semi, tanta salsa di soia e una spolverata di alghe verdi secche giapponesi.
Quelli nel pacchettino con scritte in cinese li ho acquistati a Chinatown, ça va sans dire, per 2 euro, 250 g di peso sgocciolato e 12,5 calorie totali (la tabella nutrizionale ne dichiarava meno degli altri).
Li ho ripassati in padella con 2-3 cucchiaiate della mia conserva di pomodoro casalinga, 1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva buono, una presina di sale e, in onore della loro origine asiatica, qualche fogliolina di basilico thai al posto di quello nostrano.
In entrambi i casi, all’orientale o all’italiana, a fare la differenza sono la ricchezza e la sapidità degli intingoli.
Loro sotto i denti non sono male, ricordano gli spaghettini di soia ma sono più spessi e danno più soddisfazione. E, curiosamente, nonostante il passaggio sul fuoco sia stato rapido, serviti in una scodella sono rimasti belli caldi fino alla fine, che fa sempre piacere.
Anche se la soddisfazione maggiore è stata mangiare un piatto di “spaghetti” (sì, vabbè, le virgolette sono d’obbligo) intorno alle 100 calorie tutto compreso, anziché le minimo 400 di una qualunque ricetta di pasta tradizionale.
Bikini, arrivo.
[Crediti immagini: Cibotondo]