Che la pasta fresca si può preparare in 26 minuti ve l’ho già raccontato qualche tempo fa. E la tecnica per impastare, stendere e tagliare la sfoglia certo la conoscete tutti.
Questa volta, invece, vorrei addentrarmi negli ingredienti e ragionare sulle loro proporzioni. Perché, come per tante altre preparazioni, ne esistono infinite ricette e varianti, nelle quali mettere ordine è praticamente impossibile. Volendoci provare lo stesso, bisogna dividere la pasta fresca in due grandi famiglie, con o senza uova.
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Grossomodo, la prima versione è quella più diffusa e tradizionale al Nord, mentre man mano che si scende lungo lo Stivale le uova tendono a sparire e aumenta l’utilizzo del grano duro in aggiunta o in sostituzione di quello tenero. Certo, con le dovute eccezioni. Ma andiamo, come si diceva, con ordine.
La ricetta classica all’uovo.
Mettiamo che non abbiate mai fatto in vita vostra la pasta in casa e che vogliate partire da una tradizionale tagliatella emiliana. Le dosi da manuale sono, in questo caso, un uovo per ogni etto di farina bianca, meglio la 0 (più ricca di glutine) della 00.
Questo impasto dovrebbe essere sufficiente per 2 persone, ma non troppo affamate: io in genere raddoppio le quantità e quel che ottengo lo servo a 3 commensali, mantenendo la dose classica solo nel caso della pasta ripiena.
Una volta provata, e stabilito che è facile da fare e buona da mangiare, vi renderete conto che, magari, vi piacerebbe fosse più malleabile o più soda, più gialla o più elastica, ed elaborerete la vostra versione.
Perché a questa base potete fare diverse varianti, a cominciare dal numero delle uova che, per comodità, considereremo medie, ovvero di peso intorno ai 70 grammi.
Se, per esempio, usate una parte di farina di grano duro, più tenace della 0, sentirete la necessità di qualcosa in più, per poterla lavorare agevolmente: un tuorlo o un po’ d’acqua sono le aggiunte più tipiche, ma anche l’olio può contribuire ad ammorbidire l’impasto quel tanto che basta a piegarlo ai vostri voleri.
Per tornare alla mia ricetta, io impasto con soddisfazione 170 g di farina 0 con 30 di semola, 2 uova intere e 1 tuorlo, più un cucchiaino di olio. E tanto vi dovevo prima di passare in rassegna le varie possibilità offerte dalla sterminata tradizione italiana.
I tajarin con 40 tuorli.
La regola dei sottili tagliolini piemontesi, insuperabili con il tartufo, vuole la proporzione di 40 tuorli per chilo di farina. Considerando che un tuorlo pesa circa 18 grammi, se avete voglia di fare i calcoli vedrete che sia nella ricetta classica che in quella piemontese siamo sempre intorno al 70 per cento di uova (intere o tuorlo) rispetto al peso della farina.
Quel che rende la sfoglia piemontese difficile da lavorare è la mancanza d’acqua: i tuorli ne sono composti per circa il 50 per cento, mentre negli albumi l’acqua sfiora il 90 per cento.
Dalle uova all’acqua.
Molte paste, specie se ricche di tuorli, ricorrono proprio all’aggiunta di acqua per diventare facilmente lavorabili, soprattutto nel caso si vogliano confezionare ripiene.
Infatti, l’umidità è fondamentale per riuscire a sigillare bene i bordi. Così, un poco d’acqua si aggiunge alla sfoglia degli agnolotti e dei ravioli del plin (siamo sempre in Piemonte) ma anche a quella dei casoncelli bresciani.
Poi, man mano che si va a sud, inizia a sostituire del tutto le uova. Già in Liguria le trofie sono impastate con sola acqua, e così anche i pici toscani, gli stringozzi umbri e giù giù, fino a orecchiette e strascinati pugliesi.
L’eccezione che conferma la regola sono i maccheroncini di Campofilone e i maccheroni (o spaghetti) alla chitarra, specialità rispettivamente di Marche e Abruzzo, i primi per disciplinare impastati con un numero di uova fra 7 e 10 per chilo di farina.
Per le ricette senza uova, la quantità di acqua varia soprattutto in base alla qualità della farina o della semola usata: partite da circa il 50 per cento di liquido rispetto al peso dell’ingrediente secco, poi regolatevi a occhio fermandovi quando la pasta appare liscia, omogenea, elastica e non appiccicosa.
Dalla farina alla semola.
Come accennavo, dal centro al Sud avviene un altro importante cambiamento: la farina diventa di grano duro, più saporita, profumata, ruvida e naturalmente dorata nonostante venga impastata con sola acqua.
Non solo: le paste si fanno via via più rustiche anche nei formati, passando dalla fine eleganza di taglierini e tagliatelle alla rustica corposità di scialatielli e lagane, cavatelli e sagne, che popolano le tavole campane, abruzzesi, molisane.
E mentre i ripieni spariscono, i sughi si arricchiscono: non più delicati tortelli di zucca al burro fuso e salvia, ma robuste orecchiette con le braciole di cavallo.
Mi fermo qui, perché se cominciamo a parlare di sughi non la smettiamo più. Invece, ditemi: qual è la vostra ricetta, quali gli ingredienti, quali le proporzioni – secondo voi – della pasta fresca perfetta?