E’ stato domenica pomeriggio durante Chef al Massimo, la manifestazione che si è tenuta a Monzuno in ricordo di Massimo Zivieri, che ho origliato una conversazione tra Aurora e Massimo Mazzucchelli. Finiva con la frase “martedì facciamo il pomodoro”:
– Il pomodoro? Posso venire a vedere? Dico io
– Vedere? Puoi venire a darci una mano, mi sorride Aurora
Che vuoi che sia, pensavo, tagliare qualche pomodoro, pff … non l’avessi mai fatto! No, in effetti non l’ho mai fatto, o comunque non l’ho mai fatto dentro una cucina stellata con una delle chef più interessanti della nazione.
Arriva martedì e io mi sento molto eccitata per la giornata in cucina. Sono le nove, il mio pensiero appena sveglia è: “quasi quasi vado a fare colazione da Gino Fabbri che oggi mi aspetta una giornata impegnativa”, ma non faccio in tempo a finire il pensiero che mi arriva messaggio di Aurora: “A che ora arrivi? Noi siamo già molto operativi e la prima cottura è già partita…”
Cominciamo bene, penso. Lascio perdere l’idea della colazione spaziale, prendo la macchina e arrivo a Sasso Marconi. Il ristorante è chiuso per ferie così entro dalla cucina e mi invade un profumo di pomodoro che non saprei proprio come fare a raccontarvi. In effetti sono già tutti all’opera, “dalle 6 di stamattina”, tiene a precisare Massimo. Quattro ore fa, per l’esattezza.
Aurora mi mette un grembiule e inizia a spiegarmi come si fa, a Casa Mazzucchelli, la passata di pomodoro. Massimo ha comprato 500 kg di pomodori biologici da Pedretti Franco, un agricoltore di Budrio. La varietà è prevalentemente Roma Lunga, in più c’è qualche datterino. Con quella quantità di pomodoro otterremo la metà di salsa, più o meno.
Finalmente è il mio turno e inizio a lavorare per davvero. La prima e importante fase è il lavaggio dei pomodori che avviene nei grandi lavandini della cucina e che prevede due cambi di acqua.
Poi passiamo al taglio: prima i pomodori si tagliano a metà, poi si leva il picciolo e le parti di scarto (marce o troppo acerbe, quest’ultime altererebbero in acidità il sapore della salsa finale).
La salsa di pomodoro ha a che fare con la famiglia, la casa, l’estate e qui, anche se sono nella cucina di un ristorante stellato (nel quale recentemente ho assaggiato uno dei piatti più interessanti che mi sia capitato di provare: I maccheroni ripieni di anguilla affumicata, ostrica cruda e spinaci), mi sembra di essere in famiglia.
Il Marconi è davvero un grande ristorante di tradizione famigliare, che quest’anno festeggia i suoi 30 anni di attività. Mentre tagliamo i pomodori, Aurora mi racconta della sua idea di voler celebrare questo anniversario proponendo un menu che contempli i piatti storici del ristorante, ma adattandoli al gusto moderno. Una bella idea, penso.
Mettiamo i pomodori puliti e tagliati in un tegamone, aggiungiamo una cipolla (poca, solo per l’aroma), e avviamo la prima cottura che durerà circa un’ora. Nel frattempo mescoliamo di continuo (per evitare che il pomodoro bruci o si attacchi al tegame) e togliamo l’acqua in eccesso.
Dopo l’ora di cottura, si passa alla macchina che separa lo scarto e le bucce (è una macchina come quella che si usa a casa, solo un po’ più grande). La salsa ottenuta viene rimessa sul fuoco, per altre due ore, per la cottura vera e propria. Trascorsa la prima ora si regola di sale e solo alla fine si aggiunge qualche foglia di basilico orgogliosamente raccolta nell’orto di Massimo.
In tutto ciò, io continuo a tagliare il picciolo dai pomodori: non mi è permesso di avvicinarmi alle pentole, né alla macchina per passare, né al sale e neppure al basilico. Non per la mia incolumità, ma per quella della salsa. Per una come me, abituata a stare seduta (a scrivere o mangiare, soprattutto) due ore in piedi con la schiena chinata a tagliare pomodori equivalgono alla fatica di un’ora di palestra. Sono un po’ stanchina, lo ammetto. Il lavoro di chef sarà anche tanto ambito, ma che fatica!
Aurora naturalmente non accenna la minima stanchezza, anzi, dà un’occhiata ai pentoloni e dice: è pronta! La consistenza è quella desiderata. Massimo invece assaggia, anche il sapore è perfetto.
Ora occorre invasare e bisogna farlo alla svelta perché la salsa deve essere bollente quando entra nel vaso. Aurora sterilizza i vasetti di vetro (“vasetti” per modo di dire, sono da un chilo ciascuno) mettendoli in forno a cento gradi, poi con un imbuto vengono riempiti.
Massimo li chiude immediatamente stringendo energicamente il tappo. Io mi tengo a debita distanza, e il mio contributo in questa fase è solo fotografico. I vasetti saranno messi al riparo, avvolti in sacchi di plastica, in modo che la salsa all’interno continui la cottura ancora un po’ e possiamo evitare la cottura a bagno maria.
Si son fatte le 13. Solo io ho fame? No, fortunatamente anche il papà di Massimo e Aurora ha le mie stesse esigenze, e lo vedo calare una bella quantità di spaghetti. Ce li mangeremo con la salsa appena poco dopo, in un tavolo apparecchiato nella veranda.
Dopo questo pasto, i Mazzucchelli tornano in cucina, ne avranno per tutto il pomeriggio e anche per il giorno successivo. Io non ho la loro tempra, e mi invento un impegno improrogabile.
Ah, dimenticavo: anche nei grandi ristoranti vige la regola suprema che la parte più buona della passata di pomodoro è quella che resta sul bordo del tegame..