Capitolo pane fatto in casa: nella mia carriera di panificatrice amatoriale ho ucciso così tante dosi di lievito madre che potrebbero accusarmi di genocidio. Eppure, proprio quando avevo deciso che l’unica strada per la pagnotta fosse quella che portava dal fornaio, ho ricevuto una telefonata.
Erano Alessandro e Vittorio di Doppiozero, neonata panetteria nel centro di Conegliano (TV) che ha scelto di preparare solo lievitati a base di pasta madre, ottenuta in regalo da un cultore della materia che nutre il suo lievito da 15 anni.
Attirata dal tipo d’uomo che riesce a dedicarsi con tanta cura a un impasto, ho inforcato l’auto e sono andata a vedere che aspetto avessero; è stato lì che ci sono ricaduta: mi hanno regalato una dose di lievito antico.[related_posts]
L’ho portato a casa sentendomi un Parsifal che custodiva il Sacro Gral della panificazione: completamente inadatta al compito.
Volendo ricambiare tanta gentilezza li ho sequestrati un paio d’ore, obiettivo estorcere il segreto del loro pane fragrante che nulla a che vedere con quello monocolore e mono mollica che mi rifilano quando compro il pane al lievito madre.
Chiedo subito del pane più semplice, nella speranza di poterlo replicare a casa senza problemi. Parte Vittorio con la ricetta dello zoccoletto (a cui si può dare anche la forma del filone o della pagnotta).
1 kg di farina tipo 1 (W 380)
300 gr di lievito
25 gr di sale di Cervia
600 ml di acqua
La prima parte è facile: si impastano tutti gli ingredienti insieme, anche se Vittorio mi dice perentorio che il sale va aggiunto 2 minuti dopo aver cominciato a impastare in planetaria, non prima.
Capisco subito che per fare il pane in casa devo prendermi la mattina libera, infatti una volta ottenuto un impasto omogeneo si aspettano 45 minuti, e sono solo i primi di una lunga serie.
Bisogna mettersi nella disposizione d’animo di chi deve fare un lungo viaggio in treno, interrotto da qualche telefonata, per questo ho tirato fuori Anna Karenina dalla libreria.
Insomma proprio mentre il conte Vronskij stava perdendo le staffe ho dovuto alzarmi e fare la prima delle pieghe: stendo con le mani l’impasto su una spianatoia aiutandomi con un po’ di farina e lo ripiego su se stesso prima in verticale, poi in orizzontale. Il tutto per tre volte.
Copro con una ciotola e torno da Anna e Vronskij per altri 45 minuti.
Lo stesso procedimento va ripetuto altre 2 volte per un totale di tre maneggiamenti.
Si ottiene in questo modo un impasto liscio, da mettere in una teglia e coprire di carta da forno. (A dire il vero in panetteria usano il Teflon, ma in mancanza d’altro la carta da forno che si compra al supermercato fa respirare l’impasto molto più del film plastico o dell’alluminio).
Se siete in panetteria, questa teglia finisce in cella di fermentazione (6 gradi e 65% di umidità); a casa il posto migliore dove lasciar riposare l’impasto è il frigorifero nella parte più calda, che normalmente è l’ultimo piano.
Deve rimanere lì 8 ore e quando la tirate fuori avrà un aspetto gonfio (altrimenti cominciate a tremare).
Si prende la pasta, si schiaccia leggermente con le mani, si taglia a pezzi con un coltello (o con un taglia biscotti per fare dei panini piccoli), si fa un taglio poco profondo sulla superficie e s’inforna.
Sì, sembra facile: il forno deve essere a 230 gradi statico, possibilmente accessoriato con una pietra refrattaria (si trova su Amazon). Per tenere alta l’umidità si può nebulizzare dell’acqua sul pane prima di infornarlo, e aggiungere una ciotola d’acqua all’interno del forno.
La prima cottura dura 20 minuti, poi si apre il forno, si toglie l’acqua e si continua a cuocere per altri 20 minuti.
Ora, se il vostro subconscio non sta urlando allarmato alla possibilità che vi lanciate nella panificazione, potreste anche cimentarvi con un pane leggermente più complesso, quello di segale. Il procedimento è uguale, le dosi queste:
500 gr di farina di segale biologica
500 gr di farina tipo 1
30 gr di sale grosso di Cervia
350 gr di lievito madre
750 ml di acqua
Beh, alla fine ci ho provato davvero, e il risultato è stato più che commestibile. Dunque se c’è stata una speranza di redenzione per me, ce la potete fare tutti.
[foto di Simone Colusso]