Viviamo in un mondo pasta madre-free (dicesi pasta madre un impasto di acqua e farina con un agente attivatore che contiene zuccheri semplici, per esempio una mela o il miele).
Due le scuse, la prima è il tempo. Vedo gente, faccio cose, dovrei anche lavorare, mica faccio il panettiere. Invece la pasta madre è questione di 5 minuti al giorno, e di un paio di scodelle pulite. Se uno ci pensa, depilarsi le gambe è più impegnativo. La seconda scusa è lo spreco. Se sbaglio finisco per buttare gran parte del malloppo, mi restano solo i sensi di colpa.
L’alternativa seguita da molti è darsi allo spaccio, attività poco tollerata da amici e conoscenti che si vedono arrivare vasetti strabordanti di impasto colloso. [related_posts]
Così quando Renato Bosco, del cui talento raro da fornaio, pizzaiolo e pasticcere approfitteremo biecamente per condividere con voi, lettori di Dissapore, i segreti del pane fatto in casa e delle pizza, mi ha detto che esiste un modo per non sprecare neanche un grammo di pasta madre, ho subito spento il pc.
Poi sono partita alla volta di San Martino Buonalbergo, in provincia di Verona, verso Saporè che del “pizzaricercatore” Renato Bosco è il (sempre affollatissimo) tempio.
L’idea è questa. Una volta preparata la pasta madre viva con la ricetta di Renato Bosco, ogni giorno se ne rinfresca solo un etto. L’eccedenza, invece che nell’immondizia, diventa un grissino. Sì avete capito bene: grissini freschi ogni giorno senza impasto, o quasi.
Vediamo come.
Si prende la parte di pasta madre non rinfrescata, la si mette in una ciotola e si aggiunge una spolverata di farina. Renato non mi dà le dosi, dipende troppo dalla temperatura dell’ambiente e dall’umidità della pasta madre d’origine.
Poi si aggiunge anche un pizzico di sale e si continua a mescolare con la frusta da polenta, che ho imparato essere uno degli strumenti indispensabili della sua cucina.
L’obiettivo è una pallina di pasta non appiccicosa, se dopo un giro di planetaria è ancora disomogenea si aggiunge un altro pizzico. L’importante però è andare per pizzichi, più che aggiungere, basta infarinare leggermente.
Io, che ho optato per una cucina planetaria free, me ne pentirò mentre maneggio la pasta madre per almeno cinque minuti cercando di ottenere la chimera della consistenza desiderata.
Comunque, pentimenti o no, alla fine il grosso del lavoro è già fatto.
A questo punto basta dividere l’impasto in pezzetti e farli rotolare sotto il palmo delle mani per creare dei grissini.
La forma irregolare in questo caso conferisce quel quid di fatto in casa che non guasta per nulla.
La classe non è acqua.
Quando ho visto come Renato attaccava i semini di sesamo ai suoi grissini ho pensato che tra di noi c’è e ci sarà sempre una distanza siderale: lui, il professionista, io, l’imbranata che ci prova.
Poi ho ripreso coraggio.
La soluzione è semplice: si poggia una garza su un piattino, la si inumidisce con un po’ d’acqua, e ci si rigira sopra il grissino, che, tutto bagnato, attirerà su di sé i semini come una calamita.
Un quarto d’ora di riposo basta a far sì che l’impasto perda la sua elasticità e che possa essere “stirato”, cioè allungato con le mani afferrando ogni grissino alle estremità.
Ebbene sì, è così incredibilmente semplice: a questo punto si inforna a 140 gradi per 20 minuti. Qualche minuto prima di sfornare, quella la fragranza del pane con una punta di acidità tipica dell’impasto madre inonderà la vostra cucina facendovi salivare. Ogni santo giorno.
Se non è magia questa, ditemi voi cosa.
Piccola delusione finale: finché la pasta madre non ha compiuto almeno 15 giorni di vita, niente grissini.
[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Simone Colusso]