Tutte le guide, tranne una, crescono. No, questo non è l’ennesimo post contro Osterie d’Italia di Slow Food, sebbene abbia smesso di essermi d’aiuto nel trovare posti in cui mangiare bene e spendere il giusto. Vogliamo casomai invitare le persone a guardare al di là del proprio orticello.
Cosa che di sicuro non accade quando, nello stilare un articolo che parla osterie, si scopiazzano liberamente quelle del libro “La grande cucina delle Osterie d’Italia”.
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È quello che ha fatto il Corriere della Sera, in un articolo di settimana scorsa: “Le 10 osterie indimenticabili”, allacciandoci (e nemmeno così bene) la pubblicità della collana “La Grande cucina italiana” curata da Cracco e in edicola, guarda un po’, con il Corriere.
Le osterie citate:
— Amerigo dal 1934 (Savino, Savigno, BO)
— Da Maria (Fano, PU)
— La Ragnatela (Mirano, VE)
— La Madia (Brione, BS)
— Maso Cantanghel (Civezzano, Trento)
— ‘E Curti (Sant’Anastasia, NA)
— Antichi Sapori (Montegrosso di Andria, BT)
— Dentro le mura (Termoli, CB)
— Mangiando mangiando (Greve in Chianti, FI)
— Del Belbo da Bardon (Marzano Oliveto, AT)
A parte l’effetto deja-vu, e i 35 euro come prezzo limite per rientrare nella categoria, spesso superato e non di poco, da qualche anno a questa parte la parola “osteria” vuol dire un sacco di cose.
C’è quella moderna, quella che è identica a quando è nata cinquant’anni fa, e infine quella “slow”. Un luogo dove si mangiano piatti di qualità che sono espressione del territorio a prezzi sostenibili, ma soprattutto il posto dove tante volte prende il sopravvento la cura e la ricerca delle materie prime, facendo, ovviamente, lievitare i prezzi.
L’Osteria slow è quindi un concetto ben strutturato, che per essere applicato necessita di parametri definiti e rigidi. Spesso, e comunque sempre di più, lontani da ciò che si aspetta chi si approccia alla parola osteria, con la “o” minuscola.
Per fortuna, ripetiamo, e in questo caso siamo grati a Luigi Veronelli che ci ha insegnato ad essere sempre un po’ gastroribelli.
Vogliamo quindi indicarvi 5 luoghi fuori dai circuiti tradizionali che il nome di osteria se lo sono guadagnati a forza di piatti sinceri, atmosfera autentica e prezzi davvero popolari. Osterie dove, anche in tempi di crisi, si può mangiare più volte a settimana.
1) Roccamaia, Pievebovigliana (Mc).
Un piccolo gioiello tra i Monti Sibillini. Cucina “spessa” che pesca direttamente dalle tradizioni contadine e prezzi stracciati. Si mangiano tagliatelle alla farina di castagne e cinghiale alle mele. E non provatevi a rifiutare il tiramisù della casa.
2) Buchicchio, Roma.
Cucina romana e porzioni abbondanti. Già questo basterebbe ma se non vi soddisfa, accanto ai classici come carbonara e saltimbocca e coda alla vaccinara, si trovano anche ragù di chianina e carne toscana.
3) Osteria del Gatto, Siena.
Locale rustico nella contrada della Chiocciola. Il menù varia a seconda della stagione, ma il grande classico, i pici al’aglione, non manca mai. Uno dei pochi posti a Siena dove è possibile mangiare anche il pesce. Ovviamente solo una volta al mese, quando arriva il pescatore fidato con il malloppo.
4) Osteria Donna Teresa, Napoli.
Centenaria osteria a conduzione familiare della famiglia Sorvino. Le più buone polpette di Napoli, prima fritte e poi calate nel sugo. C’è sempre la fila fuori la piccola trattoria per assicurarsi una porzione di polpette seguita da doverosa ‘scarpetta’.
5) Al Molino, Santa Maria la Scala (Ct).
Dagli anni Settanta sul mare della piccola frazione di Acireale, si può assaggiare pesce fresco, esposto in bella vista in un bancone subito dopo l’ingresso. Cucina “autonoma” che è diventata di tradizione, come la pasta ai frutti di mare, finocchio selvatico e muddica atturrata (briciole tostate).
Menzione d’onore per Battaglino (Bra – CN), La Lanterna (Mallare – SV), Al Bronzetti (Milano), Osteria della Mattonella (Napoli), Da Tommy (Mola di Bari).
Aspettiamo i vostri contributi per allungare la lista e ricordate:
“Se la diversità in questo mondo resiste, il mondo dell’enogastronomia lo dovrà a gente come voi, gente che ha nelle sue mani l’avvenire del dibattito” (a chi appartiene la citazione?)