L’eco dei nostri discorsi non riesce a varcare le pareti del salotto, il volume della televisione in cucina è troppo alto… aspetta, quella voce, non è Davide Scabin? Dov’è? A La terra dei cuochi di Antonella Clerici! Forse c’è speranza? Merde, no anche lui è stato corrotto!
C’erano una volta i tempi in cui s’entrava in cucina con il rispetto dovuto alla grandeur di una professione a cui si poteva tendere, ma che difficilmente si poteva fare propria a meno di non essere iniziati.
Erano i tempi in cui le spose avevano in dote “Il Cucchiaio d’Argento” o “Il Talismano della Felicità” e l’aspirazione massima era riuscire a superare quel giudice che mai dimenticava la “cucina della mamma”.
Quei tempi, l’Anciem Regime della cucina, sono finiti. La lotta all’ultimo canale (digerente) di quanti ancheggiano a passo di Tv, ha trasformato questo mondo.
Non c’è nessuno che s’oppone? I realisti ci sono, tra questi lo scrittore Fulvio Abbate, che ieri tuonava su La Lettura, inserto domenicale del Corriere:
“Dell’invadenza mediatica degli chef, delle rubriche cartacee e televisive non ne posso davvero più. Ciò che ormai sogno è il ritorno del tempo in cui, assai umanisticamente, si mangiava male, malissimo”.
La reazione della massa a questa critiche? Un sopracciglio alzato e uno sbadiglio.
Affranta, provo a rifarmi con qualcosa di buono da sbocconcellare. Sul frigo, sostenute da magneti/souvenirs, qualcuno ha appeso le foto della “nuova generazione di chef, giovani, stellati, contemporanei e retrò al tempo stesso. Hipster in una parola” come coraggiosamente li ha definiti l’altro giorno Style, magazine votato al fashion appeal anche lui del Corriere.
Luciano Mosillio (Pipero al Rex, Roma), alto, magro, occhiali grandi e cerchiati di nero. Vestito in giacca e cravatta. “Chef di grido in un momento storico in cui gli chef sono quel che gli stilisti erano negli anni Ottanta” arriva a scrivere Style. Uno che “porta volentieri camicia e giacca, il cappotto d’inverno. Il più caro l’ha comprato a Milano da Boggi, a due mila euro“. Amen.
Marianna Vitale (Sud ristorante a Quarto, Napoli), smanicata e dal sorriso solare. Una timida ex debuttante consapevole di poter conquistare con la reinterpretazione in chiave contemporanea dei sapori ereditati dal passato.
Andrea Aprea (VUN dell’hotel Park Hyatt a Milano), abito da chef d’ordinanza, ma i polsini son rimboccati e i capelli sorretti dal gel. Le mani in tasca. Ecco il ragazzo capace di sorprenderti con la disinvoltura di chi può mostrarsi originale, ma al tempo stesso senza strafare.
Antonino Cannavacciuolo (Villa Crespi a Orta S. Giulio, Novara), in smoking e papillon, sguardo serio e lame in mano. Sarò io, osservatrice, il piatto principale della serata? Il bottone non allacciato suggerisce i sapori crudi ed immediati.
Luigi Taglienti (Trussardi alla Scala a Milano), maglietta bianca sotto al completo. Di traverso su una poltrona viola e un sorriso che dovrebbe farti venir voglia di consumarti le mani a furia di prenderlo a schiaffi, mentre lui ti racconta la sua filosofia della cucina.
Chi sono costoro?
I figli dell’amplesso consumato in diretta tra Chef e decelebrati della Tv?
Figure patinate, utili per commettere atti d’onanismo o rincorrere la frigida eccitazione di una notte chic?
Non fanno per me. È una colpa così grave desiderare di mangiare al ristorante come una signora e sentirsi prostituta all’interno della propria cucina?
Insomma, dove sono finiti i cuochi?!
[Crediti | Link: Rai.it, immagini: Guido Fuà per Style]