La giovane signora attraente e abbiente, con un senso rosso rame della semplicità, unghie laccate, dipendenza dalle borse griffate, serie non penitenziale di anelli e braccialetti, è accanto a un carrettino dall’estetica vissuta, non esattamente linda, diciamo. In mano, un pretzel sbocconcellato.
Guardando attentamente la fotografia ho realizzato che il cibo di strada è morto. E subito risorto sotto forma di street food.
La foto proviene dall’account Instagram di una nostra vecchia conoscenza, Chiara Ferragni, e dimostra senza possibilità di errore ciò che sospettavamo.
Il cibo di strada come lo conoscevamo non esiste più. Sdoganato e abusato fino all’inflazione, incipriato, leopardato, zebrato, muccato è diventato altro, uno status che persino la fashion blogger di turno non vede l’ora di esibire. E instagrammare.
Sconvolta dall’illuminazione e irritata dai 39°C, non ho potuto fare a meno di stilare una lista esasperata di non se ne può più dello street food.
1. Non se ne può più del nome. Questa patina inglesizzante che stendiamo su ogni cosa nel disperato tentativo di creare l’hype, forse è un po’ troppo (versione inacidita: basta con ste cafonate a misura di fashion blog).
2. Non se ne può più delle calorie. Bubboliamo e giustamente contro i grassi saturi delle multinazionali e del fast food, indignati per le abnormi quantità di zuccheri nelle merendine dei nostri figli. Ci ammazziamo di esercizi e corse nel tentativo, spesso vano, di perdere un etto, e che facciamo poi in sfregio alla logica? Avalliamo ingozzamenti di bombette pugliesi trasudanti trigliceridi, anzi, più la pizza fritta è deep fried più chi la mangia diventa un eroe. Ma per favore.
3. Non se ne può più dell’angolo street food. Mercatino vintage, fiera dell’artigianato, festival delle birre. Qualunque appuntamento preveda un centinaio di partecipanti esibisce ormai il famigerato “angolo street food”. Nella maggior parte dei casi, tra l’altro, un camioncino bianco che la strada non l’ha vista manco dipinta. E che vende carissimi arancini scongelati al microonde o piadine del supermercato comprate in 3×2.
4. Non se ne può più delle guide allo street food: Lonely Planet e Gambero Rosso per le guide. Poi ogni rivista ancora stampata sul pianeta terra. Persino Millionaire, voglio dire. Infine la tv con “Street food heroes” su Mediaset e “Unti e bisunti” su dMax. Mentre continuano a sbandierare il segreto meglio tenuto della crescenta bolognese, davanti al baracchino s’è già formata la fila di auto. Per non parlare dei prezzi.
5. Non se ne può più delle vacanze all’insegna dello street food: Siamo sani di mente secondo voi a pianificare le ferie in base al kebabbaro più sordido di Istanbul o all’arrosticino più feroce dell’Abruzzo? La mia bacheca Facebook dice il contrario. Gente che un tempo fotografava lo spaghetto allo scoglio –candida tovaglia e mare cristallino sullo sfondo– ora ambisce a mostrarsi mentre azzanna il lampredotto. O tempora o mores.
6. Non se ne può più delle schifezze street food. Mangiano con le mani, parlano a bocca piena, hanno peli sulla lingua, azzannano con aria compiaciuta spiedini di tarantole e manciate di cavallette. Guardiamoci negli occhi noi e voi: non siete più coraggiosi, più ammirevoli o più invidiabili. Fate solo leggermente schifo.
Chi vuole aggiungere i suoi non se ne può più si accomodi. Una sola avvertenza: Chef Rubio non si tocca.
[Crediti | Link: Instagram, Dissapore, The Blonde Salad, Lonely Planet, Gambero Rosso, Millionaire. Immagine: Istagram]