Altolà, maestrini da tastiera e gastro-chic aristo-punk: so bene che di articoli su Napoli e comm’è bbon a pizz ‘ca pummarola ncopp ce ne sono anche troppi. Questo è il contributo di una persona normale, di prima mano e sudato, che ha la (s)fortuna di abitare nel crogiuolo delle più lussuriose diavolerie alimentari della Campania. Il mio vicariello si affaccia su alcune delle più importanti istituzioni gastronomiche partenopee, di cui vi parlerò più avanti.
Tralasciando olezzi mattutini domenicali di rraù lasciato a pappuliare ore e ore (essendo un secondo piano, la mia cuccuma borbotta e si perde in mezzo a quella di una famiglia di dieci persone sotto e una pensionata sopra), vi siete mai chiesti come fa il napoletano medio a destreggiarsi tutti i giorni tra una sfogliatella e una pizza, schivando cibo di strada e fritti che arrivano a mo’ di boomerang, a storcere il naso di fronte a piatti fumanti di genovese che le trattorie posano sui tavoli accatastati ai Tribunali, senza cedere nemmeno una volta, mantenendo il pesoforma?
Difficile, cari amici, veramente difficile.
Ci vuole una concentrazione quasi pari a quella di un asceta in piena meditazione, di un Mosè che cerca di dividere le acque, un Giotto che cerca di disegnare la circonferenza perfetta.
Ripeto: ho la (s)fortuna di abitare in uno dei posti più viscerali di Napoli. E di passare accanto alle ghiottonerie più sfrontate. Rigorosamente in ordine sparso, ecco di seguito quello che posso incontrare in una giornata normale, soltanto compiendo il tragitto casa-lavoro-università.
Lo metto subito in chiaro, prima che si scatenino battaglie a suon di ricce: è la mia preferita. Calda calda e piccola come un gioiello, una conchiglia profumata di cannella la riccia, un bon bon morbido la frolla. Locale super spartano, personale velocissimo. Ricotta pastosa, mangiarla con il primo freddo natalizio ti rimette in pace col mondo.
Prima di trasferirmi a Napoli, ero una pendolare. E da brava pendolare prendevo tutti i treni all’alba, il volto stravolto dal sonno, e conoscevo tutti i posti intorno alla stazione dove prendere un caffè che non fosse bruciato dall’altissima temperatura della macchinetta (uno dei motivi per cui mi guardo bene dal prendere caffè al bar…).
Poi, tra un caffè e l’altro (e tra un amore e l’altro), scoprii che Ferrieri aveva ed ha tuttora un’ottima pasticceria. Buonissime sfogliatelle, di sicuro a lui va il premio innovazione: banco sempre pieno di dolci freschi, sfogliatelle salate (salsicce e friarielli uber alles), ottimi cannoli siciliani (per essere a Napoli…) farciti al momento.
Prezzi ritoccati al rialzo.
Uno switch veloce, dal dolce al salato per il brunch. Se con me si parla di Carmenella, mi illumino. Da quando ho scoperto Vincenzo Esposito, per me la pizza assume contorni particolari. La sua margherita sbagliata (sbagliatissima, come dico ogni volta che la ordino) è un viaggio tra i sapori e i colori della Campania.
Verace ed ogni volta diversa, è un tributo a quel bistrattato quartiere delle Case Nuove che ha tanto da raccontarci. Perchè si può rinascere anche da lì.
Buona, cattiva, olio vegetale, olio extra vergine. Mi sento di fare solo due brevi considerazioni: andare da Michele è come un amarcord. Ti senti un po’ antico, un po’ un pezzo della Napoli che fu e che in alcuni tratti è ancora.
Vicinissima a casa mia, ogni tanto mi sento fortunata a pensare che la mia pizzeria vicino casa non è un anonimo Pizza Hut.
Pizzeria del Popolo
Bene, ora torniamo indietro, verso il centro. Nell’antichissima Piazza Mercato (e sostate, vi prego, ad ammirare la bellissima Chiesa del Carmine), troviamo il caro e famoso Gianni Breglia che con la stessa faccia di ragazzo felice ammacca e concia pizze su pizze, delizia palati e palati.
Consiglio la Pizza del Popolo: contrasto commovente tra ricotta e pomodorini. Prezzo popolare, pranzo da re.
Si inizia la risalita, quel lento Purgatorio ch’è Via Duomo eternamente coi cantieri aperti. Via dei Tribunali, la via dei Famosi. Tra i tanti, il primo che mi sento di nominare è Di Matteo. Questo nasce da un gioco che faccio spesso con la mia coinquilina quando si è a caccia di pizza. “Dove andiamo?”, chiede lei. “Hai fame?”, chiedo io. La risposta è ovviamente un sì famelico. “Andiamo da Di Matteo.”
Di Matteo, questa arroccata pizzeria su due livelli, secondo me ha una magia: tira fuori posti e coperti dal nulla, la gente entra, si accomoda, sceglie e divora una bella ruota di carretto fatta ad arte, tutto in venti minuti. Rapporto qualità prezzo ottimo, anche se ha perso qualche punto nel mio cuore. Di certo i fritti migliori di Napoli.
Sorbillo
Vabbè, Sorbillo uno lo deve nominare sempre, pure se ha da parlarne male. E’ una di quelle istituzioni imprescindibili, prima o poi entrerà nelle fraseologie italo-partenopee (qualcosa del tipo ua’, tien chiù gent appriess tu ca Sorbill! O giù di lì).
Ruota di carretto magistrale, da creare la Sorbillogia, il Nostro Pizzaiolo on the road non si ferma e conquista tutto il mondo. Con giusto merito.
Dalle parti dove sono nata (Agro Nocerino Sarnese), sovente si usa la locuzione “‘ ‘e tarall e Leopoldo”. Perchè Leopoldo è il Re Supremo Autoincoronato del tarallo napoletano, quello leggero leggero con sugna pepe e mandorle, da accompagnare ad un gambo di sedano. Caldo e friabile è un orgasmo anche per l’animo più schizzinoso.
Ma Leopoldo non si ferma e si reinventa: alcuni punti vendita hanno un vasto assortimento di dolci e la bella novità del dolce al barattolo: pastiera nel barattolo, stat a senti’ a me, pastiera nel barattolo, quando sarà periodo.
Mi sono sempre chiesta cosa spinse i coniugi Gay Odin a trasferirsi dal Piemonte a Napoli, ed aprire una fabbrica di cioccolato. Col tempo mi sono data una risposta: a noi napoletani piace il cibo, piacciono le cose belle da guardarsi e ci piace regalare cibo.
Irresistibili confezioni regalo, i famosi nudi di cioccolato, la cioccolata calda da passeggio ed anche il gelato. Consiglio il gusto yogurt, albicocca e noci con cialda artigianale, un bel giretto al Chiostro di Santa Chiara, mano nella mano col vostro amore.
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Nella mia lista di ghiottonerie, ci infilo un outsider. Questo bistrot, zitto zitto, a mio parere ha uno dei caffè migliori di Napoli, preparato con la loro miscela personale, la Anhelo per l’appunto. Questo posto è uno dei casi in cui i turisti hanno capito meglio dei napoletani l’essenza del posto.
E’ un piccolo cafè bistrot dall’aria internazionale, selezione giusta (nessun menù troppo lungo ma nemmeno da restarci insoddisfatti), caffè ottimo, aria così buona da poterci restare per ore a leggere ed osservare il mondo che passa. Consigli: caffè schiumato con spolverata di cannella e un bel muffin in abbinamento.
Il concept Anhelo è presente anche alla Riviera di Chiaia con Anhelo Bistrot e con Jamòn (prosciutteria e tapas) a Piazza San Domenico Maggiore, Napoli.
…detto ciò: mie care donne moderne e men’s health, avete capito che fatica si fa ogni giorno? E’ ufficialmente stress da cibo. Ma, come disse un caro amico in occasione di una mangiata: Che c’importa della prova costume, tanto sono elasticizzati.
[Crediti | Link: Dissapore. Immagini: Une Visite, Scatti di Gusto]