Montalbano non è disposto a discutere la schiacciante superiorità della cucina siciliana

Montalbano non è disposto a discutere la schiacciante superiorità della cucina siciliana

Perché ci piace tanto Montalbano? Perché riesce nell’impresa di essere a tutti gli effetti sicilianissimo, e contemporaneamente l’italiano per antonomasia, quello a cui non rompere le palle mentre ha la pastasciutta nel piatto.

Si muove in un tessuto fatto di personaggi memorabili, espressioni dialettali, paesaggi e (verrebbe da dire: soprattutto) gastronomia che ha portato l’ultimo episodio della serie più amata dagli italiani, trasmesso lunedì, alla media record di 10.715.000 telespettatori pari al 38,1% di share.

Guardare il commissario di Vigata (che poi sarebbe Scicli) è come immergersi nel suo amore un po’ saputo per il cibo dell’Isola.

A chi ha sentito diventare familiare la cucina siciliana una puntata di Montalbano dopo l’altra, piacerà questo elenco, parzialissimo, di piatti cari al nostro commissario.

sugo, pirciati

1. PIRCIATI

“Se se la sente, avrei i pirciati ch’abbruscianu” fece il baffuto. Sapeva cos’era il pirciato, un tipo particolare di pasta, ma cosa avrebbero dovuto bruciare? Non volle però dare all’altro la soddisfazione di spiargli com’erano cucinati i pirciati”.
Da “L’odore della notte” di Andrea Camilleri.

Questo “tipo particolare di pasta” è molto simile ai bucatini di grano duro. Il sugo invece è un meraviglioso esempio di semplicità, ingredienti pochi ma buoni, in perfetto equilibrio tra loro: olio, aglio, cipolla e acciughe, pomodori e peperoncini messi a soffriggere in padella per una decina di minuti, con aggiunta successiva di una manciata di capperi e qualche foglia di basilico.

Sauté di vongole

2. Sauté di vongole

 “Fermò davanti al ristorante dov’era già stato la volta precedente. Si sbafò un sauté di vongole col pangrattato, una porzione abbondante di spaghetti in bianco con le vongole, un rombo al forno con origano e limone caramellato. Completò con uno sformatino di cioccolato amaro con salsa all’arancia”.
Da “Il ladro di merendine” di Andrea Camilleri.

Uno chef mi ha detto che se le vongole vengono battute prima della cottura (letteralmente, un paio di colpetti ben assestati contro il tavolo, dalla parte della fessura), si aprono più facilmente.

In mancanza di evidenze scientifiche lascio a voi il disturbo di provarci e vedere se funziona. Comunque: fate un soffritto di aglio, olio, prezzemolo e pangrattato (l’olio deve essere abbondante, per amalgamare il tutto), poi quando sfrigola aggiungete le vongole e sfumate con vino bianco. Coperchio chiuso per qualche minuto, fino a quando le vongole non si schiudono. Servitele ben calde con il loro sugo.

Pasta alla Norma

3. Pasta alla Norma

“Perché non resta a mangiare con me?” Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. Pina, la cammarea, è un’ottima cuoca. Oggi ha preparato pasta alla Norma, sa, quella con le milanzane fritte e la ricotta salata. Gesù!” Fece Montalbano assittandosi”.
Da “Il ladro di merendine” di Andrea Camilleri.

Il nome viene dalla protagonista del dramma di Bellini, la Norma. Di questa pasta esistono molte varianti.

Noi propendiamo per la pasta corta, i maccheroncini. La preparazione è un po’ lunga perché implica lasciare a riposo le melanzane in acqua salata per almeno un’ora, così perdono l’acqua di vegetazione, che è amara. Una volta scolate bene, vanno fritte in abbondante olio d’oliva.

In una padella a parte, con la cipolla, si fanno andare i pomodori, che devono essere spellati e ben maturi. Scolata la pasta (al dente, vi preeego) condire con il sugo, qualche foglia di basilico e abbondante spolverata di ricotta salata.

tetù, biscotti

4. Tetù (biscotti)

“Prima di partire, Montalbano era passato al caffè Albanese, dove facevano i migliori dolci di tutta Vigàta e aveva accattato venti cannola appena fatti, dieci chili tra tetù, viscotti regina, mostazzoli di Palermo, dolci di riposto, frutti di martorana e, a coronamento, una coloratissima cassata di cinque chili”.
Da “La voce del violino” di Andrea Camilleri.

Nel palermitano i “tetù e teio” sono i dolci che si facevano per i bambini il giorno dei morti. Tetù e teio significa infatti “tieni tu, tengo io” ossia il gesto tipico dei bambini quando condividono il cibo. Sono biscotti di mandorle glassati, con glassa di zucchero al cacao o bianca.

Caponatina

5. Caponatina

“I più fortunati […] mangiavano caponatina, un’insalata di capperi, sugo, sedani e melenzane annegata nell’aceto, e si sentivano meglio di un re”.
Da “L’odore della notte” di Andrea Camilleri.

Servono melanzane, olive, sedano, capperi, mandorle e salsa di pomodoro. Che ve lo dico a fare? Ovviamente le melanzane vanno fritte, a dadini. Il resto degli ingredienti va fatto rosolare in padella, poi si aggiungono la salsa di pomodoro condita con aceto e zucchero. Per ultime amalgamate le melanzane.

Servire il giorno dopo, rigorosamente fredda, con una spolverata di madorle tritate.

Arancini

6. Arancini

“Gesù, gli arancini di Adelina ! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico”.
Da “Gli arancini di Montalbano” di Andrea Camilleri.

Sugli arancini alzo le mani, non me la sento. E’ come parlare di transustanziazione al bar. Quindi lascio la parola proprio a Adelina:

Adelina ci metteva due jornate sane sane [intere] a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato [sugo] di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre.

Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia canticchia [un po’] di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla.

Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”.

Pasta 'ncasciata

7. Pasta ‘ncasciata

“Nel forno troneggiava una teglia con quattro porzioni di pasta ‘ncasciata, piatto degno dell’ Olimpo, se ne mangiò due porzioni”.
Da “Il cane di terracotta” di Andrea Camilleri.

Questo è uno dei pochi piatti d’importazione: arriva dal messinese, è tipico in particolare a Mistretta. Gli ingredienti, non proprio dietetici, sono: caciocavallo fresco, carne di manzo tritata, mortadella o salame, uova sode, melenzane, pecorino, salsa di pomodoro, basilico. Allora, indovinate un po’: le melanzane? Fritte.

Fare andare in padella il tritato, con olio abbondante, sfumate col vino e aggiungete qualche cucchiaio di salsa di pomodoro. Lessate la pasta, rigorosamente magliette di maccheroncino, e conditela con la rimanente salsa di pomodoro.

Versate le magliette in una teglia ben unta e spolverata di pangrattato, alternandole a strati con la carne tritata, le melanzane, il caciocavallo, il basilico, le uova sode, e la mortadella (o salame).

Chiudete l’ultimo strato di pasta con melenzane, salsa e molto pecorino. Passate al forno caldo per circa 20 minuti. Il nome del piatto, ‘ncaciata, viene proprio dalla gratinatura del cacio.

Seppie in nero

8. Sugo al nero di seppia

“Quel giorno Adelina era entrata in azione, sicchè Montalbano trovò in frigo il sugo di seppie, stretto nero, come piaceva a lui. C’era o no un sospetto di origano? L’adorò a lungo, prima di metterlo a scaldare”.
Da “Il cane di terracotta” di Andrea Camilleri.

Anima e origine di questo piatto sono controverse: se ne attribuiscono la paternità sia i messinesi, sia i catanesi, e si trova anche a Siracusa. Di certa c’è solo la macro area: Sicilia orientale.

La pasta: taglierine (fettuccine, sdrammatizzando…).

Poi: Pulite bene le seppie, badando a non rompere il sacchetto contenente il nero (pare facile), che metterete da parte, e tagliatele a striscioline fittissime.

Farle cuocere per almeno mezz’ora nella salsa di olio, aglio e pomodoro (mi raccomando sbucciato e senza semi), sfumata con il vino bianco e con l’aggiunta a inizio cottura del nero di seppia.

Pasta con i broccoli

9. Pasta con i broccoli

“Sto mangiando la PASTA CON I BROCCOLI, CHI E’ CHE ROMPE?”.
Da “Il Ladro di merendine di Andrea Camilleri.

Pasta: maccheroncini. E poi chiariamo un punto: i broccoli non sono broccoli, ma piccoli cavolfiori verdi.

La ricetta infatti ha origine a Palermo, dove i broccoli si chiamano vruoccoli, da qui la confusione. Perciò: Lessate il cavolfiore a pezzi in acqua salata. In un tegame fare sciogliere le acciughe nell’olio bollente.

A parte soffriggere la cipolla tagliata fina fina, lo zafferano (precedentemente sciolto in acqua tiepida) l’uva sultanina e i pinoli, una volta cotto aggiungete anche il cavolfiore con un mestolo di acqua di cottura. Cuocete i maccheroncini nella stessa acqua del cavolfiore. Amalgamare al sugo le acciughe sciolte.

Quando i maccheroni sono cotti, mescolate il tutto. Ultimo dettaglio: prima di servire, lasciate riposare per almeno 10 minuti.

Sarde a beccafico

10. Sarde a beccafico

“Sull’orlo dello sbalanco Montalbano ci stette un bel pezzo, a fumare e pinsare. Poi decise che si era guadagnato le sarde a beccafico, montò in auto, girò, si diresse verso Marinella. La pietanza risultò di prima qualità”.
Da “Gli arancini di Montalbano” di Andrea Camilleri.

Questo è un piatto cult, non solo per i funz della commissario Montalbano. Di origine certamente araba, le sarde in beccafico vengono rielaborate nel palermitano, però se ne conoscono varianti in tutta la Sicilia.

Si parte dalla materia prima, che già è un programma: le sarde a linguata (cioè aperte a libro, prive di testa e lisca, ma con ancora la coda!).

Il ripieno è un capolavoro di sicilianità: acciughe sotto’olio, pinoli, uva passa, alloro, limone, arancia, un po’ di zucchero, il tutto amalgamato con pangrattato.

Le sarde aperte a libro vengono riempite della mollica condita, richiuse, e arrotolate in maniera che la coda resti all’insù. Poi vengono posizionate una accanto all’altra in una teglia e passate al forno per 10 minuti. Servite fredde, danno il meglio di sé.

[Crediti | Link Corriere. Immagini: Rai, L’avvocato nel fornetto, Mimmo Rapisarda, Fornoincantato, Hip pressure cooking, Manuela Zangara, Il cavalcatore, Quel che non strangola ingrassa, Tracy Eau Claire, Flickr/Luciano Romeo]