Sprezzanti del pericolo vi sottoponiamo la classifica dei 10 migliori salumi emiliani compilata con l’insindacabile contributo di Martina Liverani, emiliano-romagnola battezzata e patentata, nonché editor di Dissapore. Culatello Vs mortadella: chi vincerà nel metaflame manager Vs contadino? O toccherà invece a un outsider?
Scopriamo le carte, e riscopriamo il patrimonio norcino di una regione che produce alcuni tra i migliori salumi del mondo.
10. Salama da sugo
Dove: Ferrara
Non c’è Natale senza salama, dicono a Ferrara. Questo insaccato prodotto con un impasto di lingua, testa, fegato, polpa e muscoli del collo del maiale, e intriso di vino rinforzato con marsala brandy o rum si mangia tradizionalmente nella stagione natalizia, dopo che ha stagionato per un anno, servito con il purè di patate.
Dev’essere sugosa, da qui il nome per essere raccolta dopo la cottura che avviene con la massima cura: cinque ore in pentola appesa ad un bastone in modo che non tocchi le pareti e il fondo. A Poggio Renatico (ovviamente FE) c’è pure il monumento, vedi foto.
9. Salame felino
Dove: originariamente nel comune di Felino (Pr) e nelle zone collinari circostanti, anche se oggi i comuni di tutta l’Emilia fanno un salame “tipo Felino”.
Classico esempio dove la muffa è sinonimo di qualità: quella biancastra che ricopre il salame Felino, prodotto con carni suina di prima scelta, indica che è il momento adatto (3 mesi di stagionatura) per portarlo in tavola accompagnato da riccioli di burro o fare bella figura in un pic-nic.
8. Strolghino
Dove: province di Parma e Piacenza.
Da strolga ovvero “indovina”, in dialetto, girano molte storie sull’origine di questo insaccato ottenuto dalle rifilature magre del culatello e del fiocco di prosciutto, che is mangia tenero, tagliato in fette diagonali molto spesse e accompagnato da crostini o pane fragrante.
C’è chi sostiene che veniva usato per prevedere l’andamento della stagionatura dei salami di pezzatura maggiore, ma c’è anche la versione più mistica, di chi afferma che per la preparazione di questo salume, che richiede solo 20 giorni di stagionatura, serva l’abilità di un indovino.
7. Coppa piacentina
Dove: colline in provincia di Piacenza al di sotto dei 900 metri. La stagionatura avviene a Pianello Val Tidone, Bettola, Carpaneto Piacentino, Gragnano Trebbiense, Lugagnano Val d’Arda.
Per capire se la vostra coppa è stata fatta con un maiale ben alimentato al taglio deve risultare rosso vivida con zone di grasso compatte non superiori al 40%. L’insaccato più famoso della zona di Piacenza è realizzato con la parte muscolare superiore del collo del maiale, ovvero i muscoli cervicali, perfettamente disossata. Salata a secco con sale spezie e aromi naturali e insaccata in budello naturale, dopo 6 mesi di stagionatura dà il meglio affettata e accompagnata da pane fresco.
6. Spalla cotta
Dove: zona di Parma, Basso Parmense, provincia di Cremona, zona di Busseto.
La leggenda narra che questo salume ottenuto dalla carne magra della spalla di suino disossata e cotta nel vino sia stata preparata per la prima volta in occasione di una Fiera a san Secondo e che sia stata apprezzata al punto di restare per sempre nelle tradizioni gastronomiche della zona.
Può essere affumicata, ma attenzione una volta cotta è meglio consumarla subito, come antipasto o anche come pietanza principale.
5. Prosciutto di Modena
Dove: colline e valli del bacino del fiume Panaro al di sotto dei 900 metri. Comuni in provincia di Modena, Reggio Emilia, Bologna.
Separato dalla nascita da suo fratello di Parma, viene portato a ricevere il “bacio del Cimone”, ovvero la brezza del monte dove viene fatto stagionare. Stagionato per un anno, viene lasciato a per due mesi a 5 ° per far penetrare il sale.
Il risultato sono prosciutti da 8- 10 kg dolci all’odore e dal sapore sapido ma non salato, che sono tutelati da un Consorzio che ne marchia 100 000 all’anno.
4. Mortadella
Dove: Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Trento, Toscana, Lazio
Se oggi possiamo mangiare la mortadella dobbiamo ringraziare Cristoforo di Messibugo che si preoccupò di codificarne la ricetta al servizio del cardinale Ippolito d’Este. Oggi di sicuro è un po’ diversa ma l’anima fatta delle parti meno pregiate del maiale, macinate e arricchite con sale, pepe, pistacchi e lardelli, è rimasta.
Per rendere l’idea del mercato della mortadella vi dichiamo che se ne producono 18 milioni di quintali all’anno. Da mangiare accompagnata da fette di pane oppure da dadini di formaggio.
3. Zampone e cotechino
Dove: tradizionalmente a Modena estesa poi in tutte le province emiliane e della Lombardia.
Se a Ferrara Natale vuol dire salama da sugo, nel resto d’Italia la risposta è cotechino e zampone. Questi salumi ottenuti da una miscela di carni suine della guancia, testa, cotenna della gola e spalla, vengono insaccati o nelle zampe anteriori. nel caso dello zampone, o nel budello di maiale tenuto sotto sale, nel caso del cotechino, e stufati per 5 -8 ore.
Oggi vanno molto di moda le versioni precotte che sono sottoposte a una cottura in forni a vapore. Per essere al top devono risultare facilmente affettabili e rosati al taglio.
2. Prosciutto di Parma
Dove: Langhirano.
Il marchio con la tipica corona è il vero simbolo gastronomico dell’Emilia Romagna e lo possono vantare solo i prosciutti prodotti da maiali cresciuti nell’Italia continentale e stagionati nella zona tipica, quella dei prosciuttifici di Langhirano. Il metodo di salagione è antico e tradizionale, e può vantare un vero e proprio rituale che si compone di massaggi di sali, toelettatura e stuccatura.
Non solo antipasto, ma elemento fondamentale della cucina emiliana, nel ripieno dei tortellini alla bolognese, nei cappelletti alla reggiana, nelle lasagne bolognesi al forno, e come base delle cotolette alla bolognese.
1. Culatello di Zibello
Dove: Polesine Parmense, Busseto, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo Parmense, Sissa, Colorno.
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Il primo posto non può che meritarselo il salume più pregiato, il cuore del prosciutto che sta tra fiocco e gambetto. Vengono prodotti solo 10 mila pezzi all’anno di questo insaccato magro e morbido, dal gusto delicato e dal colore rosso uniforme con venature di grasso tra fasci muscolari, ottenuto dalla parte centrale della coscia disossata e sgrassata.
Si mangia da solo a fette fini accompagnato da pane casareccio o di Ferrara. Prima di affettarlo liberatelo dalla maglia di spago e tenetelo qualche giorno in telo da cucina bagnato da vino bianco.
[Crediti | Flickr: Valerio_D, Franz R., Christoph Werderits, alessandro manfredi, franzconde, Città Di Modena, Brenda Pederson, Modern Farmer]