Mousse di cioccolato e olio extra vergine, tisana di verbena e camomilla con biscotto. Quello che sembra un invitante dessert assume tutt’altro significato se viene servito in un contenitore di ceramica biscuit dove la mousse al cioccolato è modellata per richiamare sembianze fecali. Fantozzi la definirebbe una cagata pazzesca, ma questa non è un’istigazione alla coprofagia, non è un vero piatto e non è nemmeno una demistificazione della cucina.
Si tratta di un’installazione dissacratoria e ironica di Alessandro Negrini, estroso chef del ristorante Il Luogo di Aimo e Nadia a Milano, comparsa sul web magazine Artribune.
Il cibo si fa arte con un confine quasi impalpabile fra gioco e contestazione. In questo piatto concettuale è evidente il richiamo allo spirito provocatorio che animò anche l’artista Pietro Manzoni, artefice nel 1961 delle opere Note come Merda d’artista vendute a peso d’oro, ma il messaggio è molto lontano da quello del re Mida Neo-Dadaista.
Sbaglia chi vi legge la disponibilità di molti a mangiare anche merda purché realizzata da uno chef famoso e modaiolo pagandola carissima, l’intento di questa, in apparenza, decadente creazione è ben più nobile. Alessandro Negrini vuole provocare un sentimento di ribellione contro il bello senza anima (chi ha avuto un fidanzato bello, stronzo e stupido sa benissimo di cosa stiamo parlando), contro il puro estetismo, lo scopo è rimarcare il concetto fondamentale che la cucina sta perdendo gusto per dare spazio all’estetica.
La ricerca della bellezza a tutti i costi a scapito del contenuto è una metafora contemporanea. Non a caso, lampadati palestrati dalle sopracciglia disegnate hanno più successo con le donne rispetto a pallidi e rachitici ingegneri, ma non dimentichiamo che il cibo ha una forza espressiva intrinseca, quindi quello di cui ci si dovrebbe preoccupare è la sostanza, non l’aspetto.
Siamo talmente abituati a piatti costruiti e ruffiani, a dolci plastici e asettici per nulla golosi e peccaminosi che quando ci viene presentato un piatto perfetto sotto il profilo gustativo, ma poco invitante per aspetto lo ripudiamo con ribrezzo, come nemmeno Esmeralda farebbe con il povero gobbo di Notre Dame.
Invece, come in amore anche in cucina il brutto può nascondere del buono (o, al massimo, un sostanzioso conto in banca), si tratta semplicemente di andare oltre l’aspetto e innamorarsi di un piatto per la sua essenza e non per la forma.
Se esistono coppie come Briatore e Gregoraci significa che stile e gusto non sono poi così imprescindibili, e allora perchè quando sono lontani suscitano dis-gusto? Smettiamola di comportarci come bambini viziati, anche un piatto brutto può essere squisito.
A detta dello chef il piatto non verrà servito nel ristorante, probabilmente non è il contesto giusto, tuttavia l’idea di un piatto buono, ma che fa schifo, ricco di ingredienti di qualità superiore, ma che suscita repulsione è un’idea – perdonate la battuta scontata – stimolante.
In senso più vasto potrebbe essere letto come atto d’amore di uomo che creativamente produce cedendo parte di sé, in fondo feci e cibo non sono poi così distanti.
[Crediti | Link: Artribune, immagini: Cristian Parravicini]