7 euro al chilo per il pane. Troppo? Allora guardate due scaffali più in là, venghino siori venghino, e troverete lo stesso pane (prodotto con farine macinate a pietra e lievito madre) a un solo euro al chilo. Un eurino, ho detto. L’unica differenza è che quello da 7 chili ve lo hanno sfornato sotto il naso ora ora, quello da un euro vanta 48 ore di onorata vita fuori dal forno.
Accade al Mercato Metropolitano di Milano, dove sono stata catturata da questa cosa del pane che più passa il tempo, meno costa. Visto che il “mercato” l’ho già visto tutto e con risultati scarsini, decido di fermarmi al forno e “pettinare” il ragazzo dietro al banco con una scarica violenta di domande, tanto che a un certo punto deve riprendere fiato, ma regge il ritmo incalzante ed è simpatico. [related_posts]
Per una volta qualcuno che si diverte a rispondere e non ti liquida come se fossi la sciura Maria con un po’ d’alzheimer.
Quando comprai la prima macchina nuova, mio padre ci tenne a farmi venire le lacrime dicendo una frase tipo: “sappi che, appena varcata la soglia dell’autosalone, la tua macchina varrà la metà.”
Oggi, a distanza di anni, scopro che nel mondo che consuma e rigurgita alla velocità della luce esiste qualcosa che si svaluta più velocemente dell’auto: il pane.
Dopo 6 ore che è uscito dal forno il pane costa 6 euro, a 12 ore di vita costa 5, a 24 ore è sceso a 3 e quando compie 48 ore arriva a costare un euro. Giusto no? Si sta per buttare, che diamine.
Il ragazzo, sfiancato dalla mia presenza, si toglie il cappellino d’ordinanza e viene davanti al bancone a chiacchierare. Quello che sembra il colpo di genio di un trust di cervelli del marketing, è in realtà il recupero di un’idea antica, vendere il pane con un prezzo che scende con il passare delle ore dal momento in cui è stato sfornato, proprio come si faceva una volta.
L’impasto viene fatto in loco, e a vista per di più: eccolo lì il “panettiere al contrario” che non ha una vita invertita negli orari, e che lavora di giorno e la sera se ne torna a casa. Nel frattempo, nel cuore della notte del Mercato il suo impasto, complice l’idolo delle folle (il lievito madre), resta lì in silenzio a riposare, e poi la mattina dopo viene infornato in vari turni durante il giorno.
Un po’ come all’Esselunga, dove sfornano tutto il giorno, ma qui pare roba più seria, non tanto perché hanno questo alone patinato da boulangerie metropolitana, ma perché il pane è buono (mentre parlo con lui, sgranocchio un po’ di assaggini a disposizione dei san Tommasi).
Insomma invece di andare alle galline, un po’ rare in effetti a Porta Genova, il pane si rivende.
E, soprattutto, se avete in testa di farci la panzanella o le altre cose che lo richiedono “vecchio”, non dovete pagarlo 7 euro e tenervelo in casa fino al grado richiesto di marmificazione, ma lo pagate un euro ed è quasi pronto.
Mi sembra una buona idea, quindi lo compro. Sono le 14,30 e ne è rimasto solo un quartino dell’ultima pagnotta, perché a metà giornata l’hanno già venduto tutto. Anche se, ci spiega il ragazzo del forno, il più venduto è ancora quello da 7 euro.
Mi sono innamorata di questo ragazzo: potreste voi non amarlo, visto che prima di pesare il mio pane toglie la prima fetta, quella troppo dura? Spesa per un quarto di pagnottone: 34 centesimi di euro.
Nel forno di casa, poi, faccio la prova del 9 e tento di rigeneralo in qualche modo: il pane è buono, acidino esattamente come ti aspetti che sia quello fatto col lievito madre, e la consistenza regge ancora.
Questa è la mia personale adesione alla filosofia di Massimo Bottura di non buttare via niente, manco il pane che poi vado all’inferno. Panzanella come se piovesse.
[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Carlotta Girola]