Interno (ed esterno) giorno, 28 gradi all’ombra, ore 14.00. A Milano, in visita al Mercato Metropolitano, ho un senso di smarrimento che inizialmente non riesco a capire, e più giro e più mi attanaglia.
Mi chiedo cosa sia, qui è tutto così giusto, perfetto, ben confezionato, sarà anche il cappello da contadinello dell’Oltrepò pavese che i dipendenti indossano.
Ci sono i fiorellini, ci sono le piantine di pomodori, i carrellini pieni di aromi, ci sono pure i murales che fanno tutto più street e danno quel tocco radical chic un po’ finto. [related_posts]
Eppure, ve lo dico, mi sento smarrita.
Tra un fritto misto e un hamburger, poi, ho l’illuminazione: altro che mercato, sono all’interno di un nonluogo, fatto e finito. Avete presente quando in un aeroporto, ma anche in un McDonald’s, vi rendete conto che siete qui, ma potreste essere dall’altra parte del mondo e non cambierebbe niente?
Ecco, appunto: Marc Augé ci vedeva lungo, anche se all’epoca non esisteva questa tipologia di nonluogo tutto pallet, forchettine biodegradabili e timo fresco.
Eccola: la nuova frontiera dell’etnologia profuma di couscous e somiglia in modo imbarazzante a un allestimento Ikea.
Tutto sembra studiato per piacere, noiosamente, fastidiosamente tendente alla perfezione nel senso contemporaneo del termine, che poi significa (diciamocelo) fare il verso prima ai locali di San Francisco, e poi a quelli di Farinetti, tutti legno chiaro, insegne con font “a mano libera”, frutta e verdura in bella mostra, pioggia di “organic” in ogni dove.
Poi, però, quando ti rianimi dallo stordimento di piacioneria iniziale, realizzi che qui di mercato non c’è molto. E allora perché si chiama mercato metropolitano?
Una volta raggiunta la mia epifanica consapevolezza di quel filo sottile di fastidio per l’omologazione che appiattisce pure le buone idee, proseguo il mio giro all’assaggio.
All’aria aperta un cartello millanta un’area street food che (alle 2 del pomeriggio) é deserta, nonché chiusa. Pensare che c’erano i tortellini (ma sono street), e pure altro probabilmente, ma i ragazzi del Rita & Cocktails che stanno lavorando al loro Chiringuito mi dicono che tutto si anima non prima delle 4. Forse per fare merenda, non ho ben capito.
Nel frattempo, invece, capisco che forse la latitanza di pubblico è dovuta alle comode sedute offerte, che saranno pure opera saggia di riciclo, ma metteteci voi la nonna lì seduta.
Fa caldo, meglio spostarsi al coperto.
Solo mi preoccupo per la sorte di quelle tenere verdurine sotto il tendone: ma non soffriranno l’afa milanese?
Da mangiare, in effetti, ce n’è. Questo, più che un mercato (la zona per gli acquisti è confinata in uno spazio ridotto) assomiglia a Expo, nello specifico mi ricorda pericolosamente i ristoranti regionali di Eataly dentro l’esposizione universale.
Non ci sarebbe nemmeno nulla di male, ma possibile che non esista un format gastronomico “altro”? Possibile che il nonluogo impazzi così tanto?
Dalle insalate alle ostriche, dalle (croccantissime e non troppo salate, come accade spesso) chips di patatine al fritto misto (scarsino per 11 euro), dall’onnipresente hamburger al caffè (anche se lo staff di Taglio lo preferiamo all’affettatrice).
E poi, ovviamente, il pane, le focacce, i salumi, i formaggi, i Plin di Robiola di Roccaverano, il gelato.
C’è anche il vino, poi dipende da quanta sete hai.
Comunque l’idea di scegliere quanto riempire il bicchiere mi piace.
Nel mercato vero e proprio, poi, trovo il vino (e i cocktail) da passeggio: rabbrividisco al pensiero di strappare la linguetta e bere dalla plastica.
Sulla confezione, in effetti, suggeriscono di versarlo nel bicchiere.
Non so, c’è qualcosa che mi lascia perplessa, ma questa è un’altra storia, che parla di feste degli alpini e bicchieri di plastica colmi di rosso non identificato.
Il cibo mi fa bene, ho quasi dimenticato la frustrazione da nonluogo, quando mi ritrovo nel reparto acquisti.
Ecco, sappiate che arrivati qui e chiudendo gli occhi per un attimo, potreste essere ovunque: un po’ all’ultimo piano della Rinascente con l’acqua a più di 5 euro al litro, ma anche un po’ (aridaje) da Eataly o affini con immensi scaffali di scatolette.
Io quando andavo al mercato con mia nonna compravo il fresco, non le scatolette, ma i tempi sono diversi.
Ho comprato il pane, ho mangiato, ho guardato in giro come una scimmia curiosa: mi avvio.
Rifletto: è nelle sfumature il vero gioiello di questo posto, in quelli che qui ci vengono a perdere del tempo e negli anfratti sfuggiti alla cura maniacale della facciata.
Qui c’è il vero mercato, ma bisogna aprire bene gli occhi per accorgersene.
[Crediti | Link: Dissapore, Wikipedia, immagini: Carlotta Girola]