Ventiquattro anni e già un curriculum lungo così, Matteo Grandi ha vinto la prima edizione di Hell’s Kitchen Italia (mai credere alle apparenze). Vicentino come il suo capo, l’infernale Carlo Cracco, ieri sera il giovane chef ha annientato la concorrenza degli altri finalisti: prima Francesca e Carmelo, e poi, nell’ultima sfida, la dura Sybil.
Ma come si diventa il vincitore di Hell’s Kitchen? Gliel’abbiamo chiesto. Ci ha risposto che nelle cucine del programma è tutto vero. Gli abbiamo risposto se lo sono almeno le urla di Cracco e le levatacce notturne, ma lui, incorruttibile, ha ribadito che è tutto vero. Adesso, per aver dimostrato nell’ordine, talento, rigore, pulizia, precisione, passione e autocontrollo sta per andarsene al Forte Village, in Sardegna.
Non per fare vacanza, iparola che non rientra nel suo vocabolario, farà l’executive chef del ristorante Hell’s Kitchen (guarda un po’), lui che da due mesi ne ha aperto uno ad Arcole, nel veronese. Quaranta coperti, cucina regionale di stretta osservanza con poche deroghe, una per il foie gras, l’ingrediente che preferisce, piacevole lascito delle esperienze in giro per il mondo.
Perché frenetico com’è il giovane campione ne ha macinati di chilometri. A 18 anni era già a Shanghai, poi se n’è andato in Kuwait infine in India.
Non è il classico curriculum di un ventenne, chi te l’ha fatto fare, Matteo?
“Beh perché sono bello matto. L’Oriente è la mia passione, mi affascinano le culture diverse. A Shanghai avevo un amico da cui mi sono appoggiato e ho subito cercato lavoro. M’è andata bene, dopo la scuola alberghiera e l’esperienza in tre ristoranti veronesi (Arco dei Gavi, Piccolo Covo e Torcolo), sono entrato come sous-chef al ristorante “Da Marco”, lo considero il mio personale trampolino.
Ti sei “preso” la carriera giovanissimo, chi ti ha aiutato?
“La mia famiglia, soprattutto spingendomi ad andare. Mio padre mi ha detto che se non volevo più studiare dovevo cercare fortuna all’estero. E’ triste ma fuori dall’Italia, anche nel nostro settore, ci sono opportunità maggiori. La vita costa meno e si può fare qualcosa senza essere vecchi. Per dire, in Asia il general manager di un ristorante ha 35 anni, qui l’età media è 50. Partite e fate esperienze. Però poi tornate”.
Ecco, appunto. Appena tornato hai aperto Degusto, e ancora stavi partecipando a Hell’s Kitchen. Se non è frenesia questa…
“Degusto è un ristorante giovane. L’età massima dello staff è di 32 anni. Anche per questo vogliamo fare una cucina piacevole a prezzi contenuti, così tutti se la possono permettere, una volta ogni tanto. Sono tempi difficili, ma siamo partiti bene cercando di valorizzare territorio e prodotti locali: piselli, l’agnello di razza Brogna e il maialino della Lessinia”.
Con l’eccezione del foie gras
“A quello non rinuncio, è la mia passione”.
Ora hai vinto il contratto al Forte Village, chi si occuperà del ristorante mentre tu sarai in Sardegna?
“I miei ragazzi, che sono bravissimi . Alcuni li conosco da anni e ho condiviso con loro alcune esperienze di lavoro, altri, come il nuovo direttore di sala arrivato da appena una settimana, me li sono andati a cercare”.
Non ti spaventa essere lontano dal locale nel momento delicato dell’avvio?
“Ho saputo che ho vinto solo ieri, non ho ancora pensato come organizzarmi. Tra le cose più importanti imparate all’estero, soprattutto al “Signor Sassi” di Kuwait City, dove la brigata di cucina composta da 80 persone di tutte le nazionalità gestiva 400 coperti, è che la disciplina in cucina è tutto, ma conta anche saper comunicare con i tuoi colleghi, fa capire che ti fidi di loro. Senza fiducia non si va lontano”.
Sembri avere le idee molto chiare, è così che si vince, in tv e nella carriera?
“Penso di sì. Sono quel che si dice un rompiballe, ma per prima cosa provo a individuare i punti di forza (anche le debolezze) dei miei colleghi. Anche se nella finale di Hell’s Kitchen non ho esattamente scelto tutti i miei compagni. Però è andata bene così”.
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