Che Massimo Bottura fosse in odore di santificazione lo avevamo detto mesi fa. Ma ora che sta per partire il suo più ambizioso progetto per Expo 2015, quello del Refettorio Ambrosiano dove i più grandi chef internazionali daranno da mangiare ai poveri della città di Milano, arriva la conferma suprema.
Dopo le virtuali pacche sulle spalle di Papa Francesco, diventato di recente ispirazione per lo chef dopo i Velvet Underground (il che per alcuni potrebbe trasformarlo ancora più in icona pop e pure rock’n’roll) arriva la sviolinata anche dal mostro sacro della stampa statunitense, il New York Times.
L’ampio spazio dedicato al racconto del progetto buono e giusto di Massimo Bottura rappresenta una sorta di virtuale ciliegina sulla torta nel percorso di notorietà e reputazione globale che lo chef modenese ha iniziato già da alcuni anni.
Che ci piaccia o no, dopo che per anni in Italia hanno impazzato giornalisti opinionisti con ego napoleonici, vecchi politici tromboni con qualche vizietto, e anche calciatori idoli delle folle con capigliature discutibili, oggi a fare opinione c’è uno chef con l’appendice in Vaticano.
Ora che il New York Times regala ai suoi lettori la ricetta del dessert che verrà servito al Refettorio Francescano in zona Greco (una delle più povere di Milano), cioè il pane raffermo che si trasforma in oro (e che ho assaggiato all’inaugurazione di Expo), lo sdoganamento universale è in atto.
La faccia dell’Italia di Expo in giro per il mondo non è quella di Renzi, e nemmeno quella di Giuseppe Sala, ma in assoluto quella di Massimo Bottura.
Il progetto è innegabilmente buono, soprattutto ora che si parla anche del dopo Expo e di una raccolta fondi per proseguire con i buoni propositi anche dopo ottobre, ma mi resta un dubbio non tanto sulla buona volontà, quanto sulla realizzazione pratica.
Siamo scuri che davvero gli avanzi dell’esposizione universale serviranno a sfamare i commensali del refettorio? Siamo certi che da Rho possano uscire intere camionate di cibo scartato da riutilizzare? L’Asl non ha nulla da dire a riguardo?
E’ vero che le intenzioni sono nobili e hanno il beneplacito di Papa Francesco e del New York Times (sopra di loro ci sarebbe solo l’ok del Grande Padre), ma mi resta il dubbio, anche se sono pronta a fare “mi pento e mi dolgo” nel caso mi sbagliassi.
Resta il fatto che con la ricetta forse più semplice di tutta la sua carriera gastronomica (il “pane e latte”), Massimo Bottura è riuscito a scalare le vette dell’informazione mondiale, a conquistare la papalina bianca, a darsi la giusta spinta per l’incoronazione ultima (volete dire non che scalerà la World’s 50 Best Restaurants? Lo sapremo lunedì).
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Resta il fatto che, se davvero vorrà essere duro e puro in ambito Refettorio Ambrosiano, Bottura dovrà chiamarsi fuori dalla girandola di inviti mondani alla tavola dei poveri (non so se ce li vedo alcuni critici gastronomici con la puzza sotto il naso a cenare qui, anche se sono tavoli firmati da designer).
Anche quello, per me, sarà metro di giudizio: e nel caso su Instagram dovessero impazzare resoconti eccellenti e hashtag in stile #foodporn o #foodpope dalla mensa dei poveri, allora tirerò le mie somme.
Nel frattempo sospendo il giudizio, attendo le mosse dell’Asl e tifo per Bottura, nuovo Padre Santo della ristorazione mondiale, per la scalata di Londra.
[Crediti | Link: Dissapore, Expo, New York Times Magazine, immagini: New York Times, Wall Street Journal]