Adesso che Fabio Fazio l’ha reso l’anti-Cracco, cuoco mito del ceto medio riflessivo, il volto del food in tv sarà lui, Massimo Bottura. Se Oldani “non buca” e Rugiati è in lento ma inesorabile declino, al cospetto del pluristellato francescano che nello schermo si pettina la barba sale e pepe con la mano, manifestiamo un profondo senso di reverenza.
E come la volta scorsa con il Bollito non bollito, siccome non tutti quelli che hanno visto Bottura e Fabio Volo da Fazio sabato scorso sanno a menadito la storia delle 5 stagionature di Parmigiano, e che i risicati tempi televisivi non favoriscono la comprensione, eccoci a dirvi cosa si nasconde dietro il piatto capolavoro.
Però stavolta con l’aiuto dello stesso Bottura, che ha raccontato le “5 stagionature” nel suo libro “Vieni in Italia con me“.
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Dopo aver venduto il mio primo ristorante, la Trattoria del Campazzo, partii alla volta di Montecarlo per studiare con Alain Ducasse all’Hotel de Paris. Era il 1994 e la prola d’ordine era terroir (territorio). Quando tornai a Modena vedevo gli ingredienti emiliani in modo del tutto diverso.
Una sera venne a trovarci Umberto Panini, agricoltore gentiluomo, desideroso di assaggiare il piatto che allora chiamavamo Tre consistenze e temperature del Parmigiano Reggiano. Ma io volevo far di meglio e gliene proposo quattro.
Da tempo lavoravamo a una spuma ghiacciata per aggiungere un’altra dimensione alle componenti del piatto: il demì-soufflé, la salsa, la galletta. A fine pasto Umberto, serio, mi chiese: “hai mai riflettuto su cosa significhi stagionatura per una forma di parmigiano? Potrebbe migliore la tua ricetta”.
Scoprii che il Parmigiano Reggiano non è solo un formaggio invecchiato, ma il ritratto perfettamente somigliante dell’Emilia Romagna creato dai monaci benedettini nel dodicesimo secolo.
Per ottenere una forma del peso di quaranta chili occorrono circa 500 litri di latte. I cagli del formaggio vengono mescolati in tini di rame e riscaldati a 55°C. Poi la massa viene sagomata e posta nelle forme che riposeranno in acqua salata per trenta giorni prima di essere trasferite su assi di legno dove invecchiano in silenzio.
Dopo un anno il casaro le batte con martelletto per interpretarne la maturazione dal suono. Il marchio del Consorzio è determinato da quel rumore. Tuttavia prima che si compia il loro destino le forme devono sopportare un altro anno di umidità invernale e di afa estiva.
Ho conosciuto casari che facevano stagionare le loro forme ben oltre il requisito minimo di ventiquattro mesi, ossia per ventotto, trenta, trentasei mesi e anche più, curiosi di vedere quel che poteva succedere.
Umberto Panini aveva ragione, le impalpabili differenze tra un formaggio di 24 mesi e uno di quaranta modificarono radicalmente la nostra ricetta dal punto di vista della texture ( del gusto e della compattezza. Facemmo incetta di forme di parmigiano presso i caseifici di tutta la regione, applicandovi etichette scritte a mano: “Osteria Francescana: non aprire fino al…”.
Alcune sono ancora là. Le caratteristiche di ogni forma cambiavano non solo a seconda della stagionatura, ma anche della zona di allevamento, della razza (Bianca Modenese, Rossa, Reggiana o Jersey) e della dieta delle vacche, che poteva essere a base di cereali misti, erba da pascolo o entrambi.
La maturazione delle forme andava di pari passo con l’evoluzione della ricetta. Un formaggio di ventiquattro mesi divenne un demì-soufflé; quello di trenta una salsa calda e avvolgente; quello di trentasei una spuma montata al sifone, e le croste di quaranta mesi generarono una sottile galletta dal sapore intenso.
Una volta spostata l’attenzione dalle trasformazioni in cucina a quelle che avvenivano dentro il formaggio, la ricetta fu battezzata: Quattro stagionatura di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature. Non più un unico ingrediente ma due: il Parmigiano Reggiano e il tempo.
Anni dopo fummo invitati al Louvre per una dimostrazione. Avevo sempre in mente il mantra ducassiano del terroir. Volevo presentare al pubblico francese qualcosa di tipicamente italiano.
Per l’occasione preparammo la ricetta del brodo al parmigiano di mia nonna, utilizzando croste invecchiate per 50 mesi con l’aggiunta di formaggio della medesima stagionatura, grattugiato di fresco e lasciato riposare due giorni.
Una volta filtrato, si trasformava in pura acqua di parmigiano. Un liquido che poteva montare come una nuvola. In pratica da una crosta di formaggio avevamo creato qualcosa di etereo, con un’identità precisa e dal sapore inesauribile.
Di ritorno al ristorante le Quattro Stagionature salirono presto a Cinque, portando a compimento il nostro poema sinfonico. Il monocromo bianco su bianco, scultura temporale immersa nella nebbia, nel silenzio, nella stagionatura, era diventato un ritratto della campagna emiliana vista da dieci chilometri di distanza.
E c’erano voluti solo vent’anni per realizzarla.
CINQUE STAGIONATURE DI PARMIGIANO REGGIANO IN DIVERSE CONSISTENZE E TEMPERATURE
INGREDIENTI
Per il demi-soufflé
200 grammi di ricotta affumicata
100 grammi di Parmigiano Reggiano 36 mesi
60 grammi di bianco d’uovo montato a neve
40 grammi di panna per la galletta
50 grammi di Parmigiano Reggiano 40 mesi
10 grammi di burro ammorbidito
5 grammi di maizena
Per l’aria
500 cc di brodo di croste di Parmigiano Reggiano 50 mesi
200 grammi di Parmigiano Reggiano grattugiato 50 mesi
5 grammi di lecitina di soia
Per la spuma
125 grammi di brodo
100 grammi di panna
250 grammi di Parmigiano Reggiano 24 mesi
sale quanto basta
Per la salsa
50 grammi di Parmigiano Reggiano 30 mesi
40 grammi di brodo di cappone non filtrato
30 grammi di panna
sale quanto basta
PREPARAZIONE
Demi-soufflé
Montare la ricotta (leggermente affumicata, circa 3 minuti.
Aggiungere a filo il composta ottenuto dalla emulsione di Parmigiano e panna.
Amalgamare il bianco d’uovo e infornare per circa 10 minuti a 180°.
Sfornare e adagiare delicatamente una quenelle (preparazioni della cucina internazionale a forma di uovo) di demi-soufflé alla base del piatto.
Salsa
Portare il robot da cucina (Bimby) a 60 gradi,.
Aggiungere il Parmigiano grattugiato e portare la temperatura a 85 gradi aumentando la velocità sino al massimo, in modo da creare una crema vellutata.
Passare al colino (possibilmente il colino cinese o chinoise).
Aria
Frullare a freddo il brodo e il Parmigiano grattugiato.
Filtrare con un filtro da ceffè per due giorni in frigorifero a + 2. L’acqua così filtrata va trasferita in una ciotola ben capiente.
Aggiungiamo la lecitina e con un frullatore in modo deciso creeremo l’aria.
Galletta
Impastare burro, parmigiano e maizena in modo molto veloce.
Stendere un velo d’impasto su un tappetino di silicone da pasticceria (silpat), dando una forma triangolare e proporzionale al piatto.
Infornare alla temperatura di 200 gradi per 2 minuti.
Spuma
Portare a ebollizione nel robot da cucina (Bimby) a velocità tre il brodo di cappone.
Aggiungere il Parmigiano un cucchiaio alla volta. Salare.
Aumentare la velocità al massimo per un altro minuto. Lasciare raffreddare.
Inserire nel sifone.
Aggiungere la panna liquida a filo shakerando un po’ alla volta in modo da non perdere l’intensità del parmigiano.
Montare con una doppia carica di gas.
Rifinitura
Nel piatto con il demi-soufflé adagiare due cucchiai di salsa, una nuvola di spuma e in altezza una galletta croccante.
[Crediti | Link: Dissapore, Wikipedia, immagini: Italian Cooking Adventures]