Il prototipo, ai tempi della banda della Magliana, potrebbe essere Pippo l’Abruzzese, sul lungomare di Torvajanica, alle pareti le foto autografate delle celebrità anni Ottanta ma non quelle del famigerato Enrico De Pedis e dei suoi compagni di avventure. “Non davano lustro al locale benché proprio loro fossero il motore del fatturato”, scriveva giustamente Camilla Baresani.
Invece i 23 locali sequestrati ieri a Roma nella maxi operazione contro la Camorra, bar, ristoranti e pizzerie utilizzati per riciclare denaro sporco e guadagnarne altro, sono del tutto simili ai loro concorrenti e assai distanti dall’iconografia classica satura di pistole, cocaina, champagne e aragoste.
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Ma il valore dei beni sequestrati ieri, oltre 250 milioni, spiega quanto fossero redditizi per il clan Contini, che nella capitale si serviva di trattorie e pizzerie per ripulire il denaro sporco proveniente da Napoli e per i fratelli Righi, che gestivano una ventina (e più) di esercizi commerciali, le famose pizzerie “Zio Ciro”, per i Contini stessi.
La Pizza Connection in salsa campana funzionava così:
due contabilità, una ufficiale, l’altra sommersa, dove finivano gli incassi in nero. Da questi, venivano stornate grosse cifre di denaro, poi spedite a Napoli servendosi di fidati corrieri, consegnate agli uomini del clan.
Colpisce la rispettabilità gastronomica dei locali, quasi tutti situati in zone centralissime come il Pantheon e piazza di Spagna, con nomi che sono circolati anche tra la stampa di settore: Sugo, Zio Ciro appunto, Pummarola e Drink, Il Pizzicotto e la gelateria Ciucculà.
[Crediti | Link: Camilla Baresani, Corriere della Sera | Immagine Corriere della Sera]