Saudade. Sì, lo so… lunedì, ma nulla è perduto. Prendete me: ho scoperto che persino ascoltare Masini mentre si guida sull’A1 può regalare gioie inaspettate. Una su tutte: ti aiuta ad apprezzare la sosta in autogrill, per spegnere il cervello – e l’autoradio – e rigenerarti gustando con soddisfazione cibi tabù a cui mai, da buon radical chic coatto, ti sogneresti di cedere nella vita di tutti i giorni.
Io, per esempio, sono un’amante del panino al prosciutto crudo toscano, convertita all’Icaro per amore e per forza. Per amore, perché la spalmatura di caprino/philadelphia/robiola con la fogliolina di rucola che fa capolino esercita, bisogna ammetterlo, un suo fascino. Per forza, perché a questo fascino cedo con riluttanza, ché mentre mangio l’Icaro denuncio sommessamente fra me e me, a ogni molle e tiepido boccone, che il prosciutto toscano no, non me lo daranno mai in autogrill: è troppo ruspante.
L’autogrill di nuova generazione, ma dovrei chiamarlo Autogrill in effetti, ha dato il suo imprimatur alle abitudini mangerecce degli italiani su quattro ruote. Sdoganati la salsa alle olive e il prosciutto di Praga, a cascata sono arrivati anche i muffins, lo yogurt con il muesli, la macedonia senza zucchero – e da mangiare con la forchetta!
Il vecchio cotto e fontina invece sembra caduto irrimediabilmente nell’oblio dell’autotrasportatore, con al seguito le buone vecchie cose di pessimo gusto che davano tanta sicurezza ai gitaioli degli anni Novanta. Pizzette con la mozza di cartapecora, focaccine bisunte all’olio di semi di girasole, panini al salame fluorescente, dove siete?
Ma la più grande assente è lei: la maionese, suadente ma satanica, esclusa dai convitti in nome del mangiar sano sempre, anche quando si tratta di fare uno spuntino improvvisato in piazzola di sosta. Contro di lei oggi nutrizionisti e sedicenti buongustai recitano in coro i più ignominiosi scongiuri.
E pensare che fino a poco fa la maionese regnava indiscussa sulla terra di mezzo di quei tramezzini indefinibili, dal colore incerto fra il rosa salmone e il verde avocado. Smorzava ogni porcheria con la sua consistenza vellutata, il suo sapore sempre accondiscendente. Oggi è salita sul palco dell’auto da fé, con il diabolico fardello dei suoi ingredienti esiziali.
La maionese oggi non piace quasi più a nessuno, e questo mi sembra uno dei misteri imperscrutabili dell’evoluzione del gusto. La maionese forse non è MAI piaciuta a nessuno, ma fino a una dozzina di anni fa era un’innocente presenza ubiqua che non poteva nemmeno DISPIACERE a nessuno. Anzi, era rassicurante, cattiva ma non troppo, buona più come indole che come sapore, come la cucina di una massaia maldestra ma di cuore.
E poi, cos’altro ci regalano questi angoli di cuccagna on the road? Cornucopie in polistirolo traboccanti di caramelle gelée, tubi di baci Perugina con abbracciati peluche tono su tono. O biscotti che si trovano solo all’autogrill come i Leibniz, monadi dell’area ristoro, che sfido chiunque anche solo a cercare fra gli scaffali del supermercato.
E l’angolo dei sapori autoctoni con tanto di ciccioli, pizzoccheri freschi o salama da sugo – a seconda delle latitudini per ridurre l’impatto ambientale, e scusa se è poco. L’autogrill è come chi viaggia, ne rispecchia il senso di vaga inquietudine e di impazienza, di attesa. È il luogo in cui nell’esodo di agosto i Piccoli Operai in fuga si muovono frenetici a dispetto delle Grandi Opere in stallo. È il luogo dove si fa la pipì anche se non se ne ha voglia. Un limbo dove prendersi un quarto d’ora di vero relax fra un prima di lavoro e routine e un dopo di qualsiasi altra cosa.
In autogrill c’è tutto ciò di cui non abbiamo bisogno.
E allora perché lo fai? ti chiedi ogni volta, sapendo bene che la risposta cade nel vuoto riposante della serpentina dei corridoi, affonda nella dolcezza stitica di una Melizia, rimbalza nel cesto di stecche di cioccolato di ogni ordine e grado, e alla fine si perde, prima di arrivare, nel refrain di Bella stronza.
[Crediti | Immagine: Taccuino di Casabella]