Alzi la mano chi è pendolare, oppure lo è stato in passato. Diciamoci la verità, ci siamo passati tutti. Dalla scuola all’università al lavoro, dai piccoli spostamenti ai voli nazionali, per una fase della propria vita la persona media è costretta a viaggiare con spazzolino e biancheria di ricambio in borsa, tra una Moleskine e un rossetto mezzo sciolto, barbe grigie sul volto, occhiaie come cerchi neri da pagliaccio Popov, alito ammazza vampiri di serie a causa delle dormite bocca-aperta a prova di cervicale. Scendono affamati da convogli bestiame, aerei, treni AV, autobus ad un euro. Come sfamare questo popolo di persone apparentemente senza pretese, stanchi, vogliosi soltanto di appagare l’istinto primordiale?
La questione può sembrar semplice, ma non lo è: si può mangiar bene in una stazione? In quel non-luogo dove nessuno sembra restare mai per troppo tempo, che è sempre un fuggi fuggi generale, di merendine mangiate al volo, panini scartocciati e briciolosi.
Fresco fresco di qualche giorno fa, ci soccorre un articolo del Guardian, dove le recensioni dei train station restaurants fanno ben sperare.
E non solo per gli esterofili: infatti, ficcato lì quasi per caso, tra una Midi Station Brasserie di Bruxelles ed un evocativo Orient Express di Istanbul, si accomoda abbastanza pigramente il punto VyTA di Roma Termini, con tanto di giustificativo chic&cheap: “The modern, dark and expensive-looking interior hides a secret: while it serves diners everything from pizzas, panini and salad to croissants, coffee and wine, it charges next to nothing for them (€1 for an Americano, pizzas from €3, panini from €4.20).”
Con ciò significa che il pendolare italiano può gettar via la sua carta stagnola appallottolata, scrigno di tanti panini con la mortadella, per abbandonarsi alle leccornie che luoghi come il VyTA si affannano ad offrirci?
In realtà, chi come la sottoscritta batte i propri passi in una stazione di una città metropolitana tutti i giorni o quasi, continua ad addentare il nulla. Secondo dati del CENSIS aggiornati al 2014, sono circa quattordici milioni di italiani a transitare quotidianamente nelle stazioni italiane. Più della popolazione del Belgio tutta insieme, a ben pensarci. E non con la stessa flemma.
Quattordici milioni di polli affamati da spennare, complici disastrose linee ferroviarie, ritardi accumulati, stress (perchè lo stress è il jolly, se non deus ex machina di tutto) e quindi fame compulsiva.
Nella mia quasi decennale vita da pendolare sono sopravvissuta a cornetti di gomma, acquistati caldi di passaggio in forno da surgelato a -30° a +180° e, una volta ridiventati freddi, da poterci giocare a frisbee; sopravvissuta a caffè bruciati, atipici, acquatici. Ho osservato parenti lontani di panini malinconici far capolino in vetrine illuminate da faretti smorti, dolci tipici di varie regioni d’Italia invecchiati abbastanza da poter competere con gl’illumanti resti alimentari di Pompei.
Il progetto Grandi Stazioni, che coinvolge le principali stazioni italiane, ha sicuramente rivoluzionato il modo di vivere il tran tran ferroviario: le stazioni si sono spogliate (o perlomeno, ci provano) della loro aria decadente, a tratti pericolosa, per assumere le connotazioni di un vero polo commerciale, degno d’attrattiva non solo per il viaggiatore di passaggio ma anche per il quartiere immediatamente circostante, offrendo varie tipologie di punti ristoro (perdonate, non ci riesco a chiamarli ristoranti o bar) ad altissima frequentazione, e questa potrebbe essere l’unica giustificazione a molte mancanze.
Ebbene: quali sono le principali catene ristorative delle Grandi Stazioni italiane? Preparate i palati da gourmet, affilate i coltelli.
Chef Express: lo metto per primo, perchè è il primo che incontro. E poi, perchè quel rosso attizza-rabbia-da-toro effettivamente fa rabbia anche a me. Caffè mediamente bruciacchiato in tre stazioni diverse, stesso assortimento di panini leggermente più grandi della media, quindi sfama-pendolare o sfama-turista-di-passaggio. Ogni tanto tira fuori un caffè particolare, addolcito da un po’ di aggiunte cioccolatose e pannose, giusto per innalzare la glicemia in giornate no, magari anche per peggiorarle.
VyTA Boulangerie Italiana: per carità, il Guardian è sempre il Guardian e qui non si osa smentirlo, nossignore. Ma sinceramente, non trovo nel VyTA qualcosa che possa soddisfare qualcosa in più di un turista. Punto a favore, locali bellissimi, design minimal con una predominanza di nero ed oro da far sentire un gran signore anche l’ultimo pendolare, sceso dall’ultimo regionale in ritardissimo dal fondo alla stazione. Caffè leggermente più biondo degli altri colleghi, merito di una non precisata Miscela Arabica.
ACafé: sono decisamente demoralizzata. Da un lato, Autogrill mi ha salvata da alcune brutte situazioni. Dall’altra, è immancabile ricordo di caffè bruciati e costosi, insalatine appassite da dieta pro-ana e prezzi inaccostabili. Va bene, ho capito la logica del ti serve, quindi sborserai anche il doppio, ma un po’ di decenza no, eh? Bocciato.
Questi tre sono più o meno onnipresenti in una quarantina di stazioni medio-grandi italiane. Poi c’è l’esperimento abbastanza riuscito del Bistrot Milano Centrale di Autogtrill. Quindi i punti ristoro regionali, quelli di solito presenti negli aeroporti. Dai cannoli ai babà alle piadine, è tutto un via vai di cibarie dopo gli imbarchi. Gli aeroporti sembrano trattarsi un po’ meglio: c’è della qualità abbastanza alta dopo il check-in.
Da Milano a Napoli a Catania, abbiamo una verticale di nomi abbastanza famosi a disposizione del più fortunato (ma dipende dai casi), viaggiatore: a Malpensa abbiamo un punto Ferrari Spazio Bollicine, Napoli sgomita con ben due wine bar Feudi di San Gregorio, Catania dice la sua rifornendo di cannoli, cassatine e raviole by l’onnipresente-in-ogni -città Nonna Vincenza praticamente chiunque lasci la Trinacria in aereo.
La ristorazione in luoghi di grande affollamento incontra notevoli difficoltà. La rapidità sembra venire prima di ogni altra cosa, ed un caffè fatto a mestiere, come direbbero a Napoli, sembra essere un problema gastro-socio-economico davvero di difficile risoluzione.
Intanto, attendo i commenti dei pendolari di Dissapore. Dai, su, che avete delle belle storie da raccontare. Ogni pendolare ne ha sempre qualcuna di riserva, per intrattenere gli sconosciuti in treno.
[Crediti | Link: Guardian, Dissapore, immagini: Zomato]