Andare a vedere una sagra può suscitare, oltre al comprensibile interesse da entusiasti della gola, qualche riflessione sull’opportunità di farne così tante. Siamo tutti d’accordo che in genere si mangia male, ma in controtendenza, pronta alla fucilazione qui e ora, dichiaro che le sagre e le feste paesane io le adoro.
E dunque: sabato sera, paesino isolato, 300 anime per lo più ottuagenarie. La domanda sorge spontanea immediata: perché andarci?
Chiamiamola attrazione per la pesca di beneficenza. (Un’altra volta, se abbiamo tempo, prometto di spiegare la mia personale dipendenza da quel tipo di atmosfera: simpatica, semplice e pop).
Bene, quest’anno non mi bastava organizzarne una, volevo anche studiare la concorrenza. E di sabato sera, nel paesino isolato, con 300 anime per lo più ottuagenarie la pesca di beneficenza l’avrei sicuramente trovata.
Nel parcheggio del paese abbellito per l’occasione da tavoloni, panche, palco e improbabile gruppo musicale, vedo due stand di giochi per bambini, un enorme gazebo con le cibarie e altri due per le bevande.
Della pesca di beneficenza manco l’ombra.
Ma sì, la faranno dietro la Chiesa, è un classico.
Intermezzo gastronomico. Il menu della sagra prevede: agnolotti al ragù, acciughe al verde, capocollo, salsiccia, patatine fritte, dolce non definito, bevande varie.
Se dire sagra equivale a tirare in ballo la specialità del luogo non è questo il caso. Nessuno dei piatti è la specialità del paese, ve lo posso assicurare.
Per il resto, orribili stoviglie plasticose, totale assenza di raccolta differenziata e vai di catering. Esatto, non si cucinava sul posto, azzerate l’ingenua immagine dei fuochi che vanno sotto i pentoloni o delle rubizze signore alla cassa. Qui il conto te lo fai da solo, sul foglio che ti danno per ordinare.
Sospiro, la pesca di beneficenza mi attende.
Gli agnolotti sono discreti (ma sono un giudice generoso), non posso dire altro poiché mi sono limitata a quelli. Cerco un gelato, tanto per addolcire la digestione. Faccio capolino al gazebo “bar” ma niente gelati, finiti.
Cammino sempre più mesta verso il retro della chiesa, pensando che malgrado le sagre rappresentino una tradizione del nostro paese che amo, che festeggia le diversità, i dialetti, i riti pagani, i cibi dimenticati e le preparazioni a volte troppo lunghe quindi dismesse, forse ce ne sono davvero troppe
Alcuni di questi baldanzosi intrattenimenti mangerecci sono costruiti ad arte per imbambolare i forestieri, i prezzi sono spesso fuori controllo, il vino il più delle volte è hard. Per non parlare delle amministrazioni locali furbe, le Pro Loco, le leggi inesistenti intorno all’argomento, le sagre inventate, inappropriate, incomprensibili (sagra de lu Porcu, de lu Scottadito, de lu Porcellino, de le Cacciannanze, de la Congola, de la Panzanella, de la Picciona).
E mentre cerco di allontanare questi pensieri pregustando il momento che, ne sono sicura, mi riporterà alla primitiva gaiezza, quando bimbetta andavo alle sagre insieme ai nonni, arriva violenta la mazzata:
“Guardi che quest’anno la pesca di beneficenza non l’hanno mica organizzata“.
Giuro che mi ripresenterò alla strapaesana della pecora, forse anche festa della polenta, a quella dei funghi mi commuoverò. Però, che delusione quest’estate le sagre.