Nell’Italia di Berlusconi, c’erano una volta le madri che accompagnavano le figlie ai provini per le veline. Nell’Italia di Renzi Letta, ci sono le madri accompagnate dalle figlie ai provini di Masterchef. Piccoli slittamenti di significato. Volete un esempio? La giornalista Elena Loewenthal che racconta la sua esperienza alla Stampa. E che già aveva fatto sollevare le nostre antenne quando dichiarò “Cara Boldrini, servo in tavola e sono felice”. [related_posts] Ora, kit del piccolo sociologo alla mano: cosa spinge una giornalista della Stampa a fare un provino di Masterchef? Ciò che spinge tutti i partecipanti ai talent, che siano di musica, di cucina o [sic] di scrittura. Noia, frustrazione e desiderio di evasione o di una vita nuova. Uniti, ovviamente, a una certa propensione allo spadellamento. Okay, abbandoniamo la sociologia per la cronaca.
Tutto è cominciato in una di quelle grigie giornate in cui mi viene voglia di cambiare vita. Apro un bar a Cuba? Entro in un convento tibetano e non ne esco più? Ho fatto di meglio: ho compilato il modulo per le selezioni di Masterchef Italia, edizione 2013. La giornata ha preso una piega diversa e la mente ha cominciato a spaziare verso universi di pasta choux e Pressure Test.
Qualche settimana dopo, arriva una telefonata. E arriva proprio mentre la Loewenthal sta cucinando, quando si dice le coincidenze.
Buonasera, dice una giovane voce. E mi spiega con garbo che chiama dalle selezioni di MC, che è una chiamata orientativa (non devo illudermi. Tengo i piedi per terra e poso il mestolo per tenere più saldo il telefono). La produzione vuole sapere se sono disponibile. Certo, rispondo. Disponibile a non avere impegni per due mesi, per la registrazione del programma. Credo, penso. Si tratta di un impegno a tempo pieno, deve essere libera.
La Loewenthal ha figli, cani e lavori, ma tanto aveva deciso di cambiare vita. E quindi sì, è libera. Si rifaranno vivi, dicono. E lo fanno davvero.
Passa qualche settimana e mi chiamano mentre sto lavorando a un convegno su religioni e dolore. La testa comincia a vorticare fra semantica biblica e stufato. Dopo qualche giorno mi presento al mitico «casting» insieme a mia figlia (puoi portare qualcuno, avevano detto) e al mio piatto forte: guancia di vitello brasata con ravioli di patate al grano saraceno.
L’appuntamento è per le otto, ma il casting è affollato, alcuni sono lì dalle cinque. E’ sicuramente così: ricordate queste fotografie?
Ci danno un numero. Il tempo passa (a un certo punto passa anche un’aura mistica, è Cracco. Bocche aperte, fiato sospeso). Si chiacchiera. Capto in ordine sparso: un meccanico, una studentessa di filosofia, una giovane coppia, un pensionato burbero, una quarantenne molto carina.
I concorrenti danno gli ultimi ritocchi al piatto prima del provino vero e proprio. L’attesa si fa snervante.
Dal colloquio esce sconfortata una massaia sovrappeso: «Chiedono il taglio a julienne!», esclama. Molti mettono mano allo smartphone in un tripudio di coppapasta, tortini a strati. Ho davanti una commissione di volti e palati. Cuoco compreso. Mi chiedono tante cose, ma non del taglio a julienne.
E così alle nove – dodici ore e tre quarti dopo il suo arrivo – la Loewenthal torna a casa come tutti. Come tutti, ignara del suo destino. L’avranno presa? Potrà ammirare l’aura mistica di Cracco da vicino mentre milioni di italiani ammirano lei e la sua bravura nel brasare la guancia? Si faranno vivi? Forse, chissà. Una vita nuova attende l’okay dal giudice più insindacabile: la televisione. [Crediti | Link: La Stampa, immagini: Sky]