Il giorno che istituiranno la disciplina di antropologia del supermercato gradirei una cattedra o almeno una menzione. Diamine, studiare etichette, prezzi, marchi, disposizioni, ma anche dinamiche familiari, tic, tipologie di acquisto tra le corsie è una mia perdurante ossessione. La coltivo da tempo: anche l’adolescenza – inevitabilmente maschilista – non mancava di mie solitarie incursioni.
Insomma accademici tenetemi in considerazione.
Purtroppo non andrà così; life is unfair, si sa. Nel frattempo la mia milanesità coattamente acquisita (e mai andata a buon termine) mi ha ben predisposto verso l’Esselunga – meglio in versione ipermercato – tanto da averla messa in testa alle mie preferenze qualche tempo fa.
Torniamo, allora, a parlare del colosso di Caprotti, anche se qualche graffio ironico sul suo testamento ha fatto sentenziare alcuni che io addirittura non sia mai entrato nel suo supermercato. Dal quale, in una tarda serata di gennaio sistematizzo le cinque eccellenze della catena dallo strano nome.
Linea biologica
Verdure, frutta, latte, legumi, farina, biscotti. La linea bio dell’Esselunga privilegia il fattore prezzo e abbatte lo stereotipo dell’inaccesibilità economica. Siamo intorno al 50% di sovrapprezzo rispetto ai prodotti convenzionali, ma spesso questi prodotti sono scontati. La qualità è soddisfacente, la coscienza metropolitana salva. Non tutto luccica ovviamente. E la pasta e il riso non sono esattamente esaltanti. I surgelati non so, gli yogurt non li conosco; non li avevo mai comprati prima di ieri sera.
Baccalà
Lo uso come rappresentante supremo dell’area pesce (ricca, varia e qualitativamente ottima) perché non mi ha mai tradito. Anzi, spogliandosi della coltre gastrofighetta e falsa per cui “il pesce lo devi prendere al porto o alle pescherie di fiducia”, avanzo l’ipotesi che siamo sui massimi livelli. Rifornimenti costanti, controlli accurati e freschezza costante. I costi? Più alti degli altri reparti, in rapporto alla concorrenza, ma chi ha mangiato il baccalà fritto a casa mia, sa di cosa parlo.
Carne
Qui il teorema gastrofighetto ha più legittimità, ma è il rapporto qualità prezzo a fare la voce grossa. In generale la carne rossa che arriva dalla Francia e dalla Germania è ottima. Non ci si straccia le vesti invece per maiale e carni bianche, mentre l’hamburger fa il suo lavoro egregiamente. Non le versioni più economiche però che mi inquietano un po’, starei su quello piemontese. Non ho mai provato quello americano, perchè ok che il km 0 è un miraggio anche stucchevole volendo, ma saltare l’oceano mi pare eccessivo.
Formaggi
Sul banco gastronomia sono combattuto. Ultimamente si è ingigantita l’area fritti, che non mi attrae per nulla, mentre i salumi sono solidi quanto anonimi. Ogni tanto spunta qualche eccellenza (prosciutti a lungo invecchiamento, culatelli, salumi dop), ma lo sono più nello strillo commerciale che nella sostanza. I formaggi invece hanno una marcia in più, specie se ci si muove in Lombardia e Piemonte. A prezzi molto competitivi.
Cioccolato
Non sono un dolcista e non sbavo mai nelle aree ad alto tasso glicemico. Non disdegno però un pezzo di buona cioccolata dopo cena. E tra i brand più noti e dozzinali capita di trovare qualche chicca interessante. Non sono chicche Lindt e Camille Bloch? Vero, però sono buoni.
[Crediti | Link: Dissapore, immagine di copertina: Flickr/Massimiliano Raposio, altre immagini: Adriano Aiello]