Di preciso, per capirci, quando è che abbiamo cominciato a sbroccare per il cibo? Quando, da piccola ossessione curabile ad opera di un piccolissimo gruppo di chef datati, a un certo punto la mania “del food” si è diffusa serpeggiante e ha cambiato tutto e tutti? E quando dico tutto e tutti, intendo tutto e tutti. Una volta in officina si facevano radiografie ai pixel del calendario Pirelli; oggi anche il mio meccanico discorre amabilmente di “piatti rivisitati” e della corpulenza di Cannavacciuolo.
Mi ci ha fatto pensare il libro di Guia Soncini “La Repubblica dei cuochi“, uscito di recente per Il Mulino, dove la “difensora delle anoressiche” arriva al nocciolo della questione: il rimbambimento collettivo alla vista di un piatto o, anche peggio, di uno chef (meglio se incarna il macho col mattarello). Qui un estratto, per capirci meglio.
Se nel libro il punto di non ritorno è rappresentato dalla copertina con Cracco, due top model nude e il dentice, oggi siamo alla deriva più completa. Correva l’anno 2012 e voi non potete averla dimenticata: ma sì, dai, quella di GQ dove tutto il genere femminile si è accorto della sindrome da ormonella ballerina alla vista dello stellato, l’unica copertina con donna nuda nella quale l’occhio cade prima sul ciuffo brizzolato che sul lato B della modella.
Da lì, nulla più è stato come prima. Siamo stati tutti inesorabilmente inghiottiti dal vortice di MasterChef, ci siamo cimentati in orrori velleitari nelle nostre povere cucine, abbiamo iniziato a usare termini come “impiattamento” oppure a mangiare cosucce che prima ci avrebbero procurato conati in loop.
Non è che un libro ora ci sveli che abbiamo perso la misura, questo è chiaro da tempo. E’ sufficiente guardarsi intorno e captare piccoli frammenti di conversazione al tavolo accanto al nostro: avreste immaginato che saremmo arrivati a intavolare lunghissime sessioni di corteggiamento parlando di hamburger gourmet?
All’epoca della famigerata copertina di GQ mi occupavo già di cibo, ma ricordo distintamente che tutto aveva un piglio drasticamente più lieve: a cucinare in tv c’era Antonellina Clerici, i cuochi si chiamavano ancora cuochi per i più, e nessun mio conoscente si sarebbe immaginato di trascorrere 40 minuti chiacchierando amabilmente di gelato all’azoto.
Poi però le cose ci sono un pochino sfuggite di mano: da astronauti, i bambini oggi da grandi vogliono fare gli chef. Non cuochi, bada bene, ma chef.
E poi ci sono schiere di trentenni nerdizzati che mangiano solo se la “texture” è di loro gradimento, massaie che prima friggevano melanzane random e oggi non muovono un dito senza che lo dica Giallo Zafferano o Dissapore.
Ci sono masse adoranti che vogliono mangiare da Cracco (anche solo per guardare e senza mangiare è ovvio), ci sono quelli che son cresciuti a suon di Quattro Salti in Padella e che adesso scrivono lunghe e agguerrite recensioni di locali su TripAdvisor, citando almeno tre volte il “contrasto sul palato”.
Per la Soncini questa è la “generazione Eataly“, una schiera di poveri deficienti che hanno perso il senno dietro alla cucina.
Va bene, ha ragione.
Prendo atto che di questa banda di rincoglioniti faccio parte anche io, anche se non a tempo pieno, diciamo solo “a volte” quando mi distraggo e mi riscopro adorante davanti alla pancetta di Cannavacciuolo. Ogni tempo ha i suoi miti e pure i suoi falsi miti: forse la cucina in tv, il nostro furore da Instagram gastrofighetto, le migliaia di ossessioni sul grasso idrogenato che ci attanagliano al momento della spesa, ecco forse finiranno.
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Nel frattempo da questa follia trasversale nessuno si senta escluso: nemmeno la Soncini che mica si vergogna, pure lei come una Girola qualsiasi, a dichiarare il suo amore a Bottura.
Forse, ma solo forse, resteranno sbiaditi ricordi di questa “belle époque dell’impiattamento”: primo o poi torneremo a fare i conti con il pasticcio di pasta impiattato alla carlona. Di alcune belle cose sentiremo la mancanza, di altre credo proprio di no.
A proposito, torneremo mai a dire “pasticcio di pasta”?
[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Gq, Il Mulino]