Sissignore, cari i miei piccoli lettori, vi invito a seguirmi in un’avventura rocambolesca. Misteriosa, perigliosa, a tratti estrema. Stringetevi forte al vocabolario della lingua italiana perché s’inizia ora a leggere, vivisezionandola: la scheda del ristorante La Pergola dell’Hotel Cavalieri di Roma (triforchettato, tricappellato, tristellato), così come appare nella guida Espresso 2013 appena pubblicata. Ringrazio in anticipo chi ha reso questa esperienza possibile: R.A, il Redattore Anonimo della scheda. Rullo di tamburi, si parte.
“Quasi impossibile immaginare diversità più acuta di quella tra un Johnny Depp e un Heinz Beck. Eppure… Alla Pergola la sovrapposizione mentale tra ‘La Fabbrica di cioccolato’ del film di Burton e la cucina della casa scatta imperiosa.”
Inizio folgorante: un Johnny Depp ed un Heinz Beck nella stessa frase. (Un. Perché ce n’è molti?). Come non accorgersi della imperiosa sovrapposizione mentale, ci punzecchia R.A., tra un’opera di Tim Burton incentrata sui freak, i diversi, gli outsider, ambientata in un mondo caotico, folle, colorato, con la cucina di uno dei più lussuosi ristoranti d’Italia? A chiunque verrebbe in mente, a voi no?
Mi resta un dubbio. Il parallelo è tra: il personaggio interpretato da Johnny Depp nella nota pellicola e lo chef de La Pergola? O forse tra la cucina del ristorante e l’ambientazione del film? Oppure tra l’ambientazione del film e le tappezzerie della sala, con una velata critica all’eccesso di colori? Domande destinate a rimanere senza risposta. Andiamo avanti.
“Anche qui, in fondo, non si faticherebbe a immaginare la precisione certosina (ma in costante crescita di piacevolezza) dei piatti curata da infallibili gnomi lungo un ‘kaiten’ carico di sirene sempre diverse”
Diavolo di un Redattore Anonimo, qui ci mette alla prova, vuole testare la nostra attenzione con un indovinello: cosa sarà mai un kaiten, e che rapporto ha con le sirene? Leggo da Wikipedia: “Il Kaiten (giapponese) era un siluro modificato come arma suicida, utilizzato dalla Marina Imperiale Giapponese nelle fasi finali della seconda guerra mondiale. Kaiten significa: rivolgersi al paradiso”. A parte la storia del paradiso, non lo so mica se è un complimento. Sorvoliamo sulle sirene, e pure sugli gnomi.
“Qui però gli ‘gnomi’ hanno faccia e nome: sono gli splendidi secondi di Beck (che non a caso decollano poi puntuali verso progetti importanti) e l’ormai mitica squadra di sala. Un’orchestra per la quale la parola giapponese giusta è ‘kaizen’, il miglioramento lento e costante perno lì della filosofia del management”.
Niente, non si può soprassedere. R.A. insiste, e stavolta spiega che gli gnomi sono proprio quel che temevamo: la brigata di cucina e di sala. Gli Umpa Lumpa. Prima di proseguire ci dà un’altra lezione di giapponese: stavolta la parola è kaizen. Perno Lì della filosofia del management mentre io, perno Qui, sono sempre più confusa. Stringo i denti, seguitemi.
“Si può così iniziare il percorso dal caffè (aroma del carpaccio di manzo in salsa cappuccino), proseguirlo con tartare di scampi, papaya, caviale, cetriolo; tonno scottato su cipolle rosse, finocchi, povere d’olive e sala d’agrumi (‘mattonella’ del mediterraneo)”.
E’ tutto chiaro fino a: povere d’olive e sala d’agrumi (‘mattonella’ del Mediterraneo). Perché un refuso ci sta, è legittimo, ma due… uno affianco all’altro… secondo me ha un significato. Le parole chiave sono: Povere, Sala, Mattonella e Mediterraneo. Senza dubbio è un messaggio criptato. A voi il compito di decriptare.
“Spaghetti ‘acidi’ con tartufi di mare e piselli; fantastico piccione in salsa di grappa; e approdare tra i dolci al nuovo gioco (molto Willy Tonka) del ‘kaleidoscope’, materie che nel piatto cambiano colore e stato per interazione fisica (non chimica!) regalando show e sapore.”
Mica penserete che Tonka sia un refuso, vero? Mica sarete così ingenui da pensare che l’Anonimo Redattore di una delle principali guide della nazione, nel redigere la recensione di uno dei ristoranti più importanti, alla fine sbaglia il nome del personaggio intorno al quale ha improntato tutta la recensione, che si chiama appunto Willy WONKA, e non TONKA, vero? Noi non ci caschiamo mica. Cerco su google e scopro che Tonka è un tipo di fava venezuelana. R.A. ha espresso il suo giudizio, a me sembra impietoso.
“Una sosta in questo luna park dal cuor di cronometro (e cantina dorata) costa sui 200€”.
Costa sui 200€, per quanto agghiacciante da leggere, ancora lo capisco. Non lo userei neanche su un SMS, ma lo capisco. Però sul “cuor di cronometro”, io getto la spugna.
Qui le cose sono due. O Redattore Anonimo ci sta dicendo qualcosa del tipo: a me la Pergola non piace ma per contratto devo parlarne bene (ipotesi complottista), oppure all’Espresso hanno deciso di svecchiarsi sposando un linguaggio giovane e disinvolto, involontariamente comico come una vecchina impacciata che balla rock’n’roll acrobatico. Ecco.
E se la seconda ipotesi fosse quella giusta allora mi chiedo: era proprio il caso? Non erano le guide cartacee l’ultimo baluardo della lingua italiana applicata ai ristoranti che noi incolti blogger abbiamo umiliato, danneggiato, assassinato? E’ davvero necessario rotolarsi tra concetti improbabili e periodi sibillini per raccontare uno dei templi dell’alta cucina italiana? Ditemelo voi.