Disponibili anche per matrimoni e battesimi, gli show cooking sono ormai alla portata di ogni tipo di evento. Lo chef (mediatico in modo direttamente proporzionale al budget dell’evento stesso) assembla ingredienti precotti in una bella mise en place, ha una giacca linda e il sudore sotto controllo, insegna come realizzare un intero menu con la patata, un risotto non risotto, o come cucinare l’uovo a sessanta minuti a bagnomaria.
E soprattutto, comincia ogni frase con le parole “la mia filosofia è…”.
Show cooking che rimandano un’idea molto “masterchef” della cucina, ormai trita, soprattutto mitologica, un po’ noiosa. Mi chiedo [e lo dico da persona che di show cooking ne ha presentati parecchiotti] se non sia il caso di inventare nuovi format per le feste gastronomiche.
Senza tirarla troppo per le lunghe, credo che tra la sagra e lo show cooking ci sia tutto un mondo, molto forte e incredibilmente vicino al concetto di cucina popolare e cultura gastronomica.
Un po’ più moderno dello show cooking, un’avanguardia che va cercata per altre strade.
Faccio queste considerazioni dopo aver conosciuto Peppe De Marco.
Immagino che molti di voi non abbiano mai sentito il suo nome; non era mai uscito dalla cucina del suo ristorante Da Peppe, a Rotonda, in provincia di Potenza, per partecipare a un evento gastronomico. Non è un cuoco di razza mediatica, ecco.
Peppe de Marco, dicevo, è un trattore (nel senso di gestore di una trattoria) il cui nome è legato a quello della Melanzana Rossa di Rotonda, un ortaggio che a vederlo sembra un turgido pomodoro ma che di fatto appartiene alla specie delle melanzane. Una coltivazione antica che sarebbe andata dimenticata se non fosse stato per Peppe che ne ha fatto una delle specialità del suo ristorante.
Un romantico a Rotonda (o un artigiano intellettuale, come lo chiamerebbe Giorgio Melandri, il curatore di Tutti Pazzi in Città, la manifestazione che ha radunato a Faenza 9 grandi trattorie italiane, tra cui anche Da Peppe, per la prima festa della cucina popolare), Peppe è di quelli che se li conosci impari che la cucina povera non è banale, la cucina popolare non è solo folclore. Se non è avanguardia questa?
Se l’avanguardia fosse veramente nella trattoria?
Vi faccio un altro esempio: Avgustin Devetack con la sua famiglia da sei generazioni conduce la Trattoria Devetak a San Michele del Carso e ha recuperato antiche ricette della cucina mitteleuropea e di confine.
Un altro ancora?
Pasquale Torrente (Al Convento, Cetara), il suo nome è associato a quello della colatura di alici ed è convinto che “la trattoria sintetizza la cultura gastronomica di un popolo”.
Potrei citare anche Arcangelo Dandini (L’Arcangelo, Roma) che mi ha detto “La trattoria è la culla della vera memoria popolare, baluardo delle tradizioni e futuro della cucina”.
Ma anche Franco Cimini (Osteria del Mirasole, San Giovanni in Persiceto) per esempio, o Roberto Serra (Su Carduleu, Abbasanta) che mi ha parlato per un’ora (in sardo!) delle tradizioni gastronomiche della sua terra. Questa è cucina popolare d’avanguardia, perfetta per un evento gastronomico diverso.
Ecco, non dico che Peppe de Marco stia facendo le stesse cose che fa Renè Redzepi, solo che le fa a Rotonda e non a Copenhagen, ma un po’ di avanguardia ce la vedo, non trovate?
Storie che noi gastrofissati e anche addetti ai lavori dovremmo raccontare di più. Padella in mano e poche filosofie.
Anzi, pochi show cooking.
[Crediti | Immagini: Fabio Liverani]