Viaggiare per lavoro, prendere e partire, ogni settimana in un luogo diverso, ogni sera in un ristorante diverso: poter fare questa vita in continuo movimento senza alcun vincolo, legame, lacciolo o compromesso è libertà o solitudine?
Tranquilli non ho intenzione di scrivere un post metafisico, solo che ho visto il film Viaggio Sola di Maria Sole Tognazzi, con Margherita Buy e Stefano Accorsi e non ho potuto fare a meno di pensare a chi per lavoro viaggia solo, ma soprattutto mangia da solo. Specie se è donna.
La storia è quella di Irene, quarantenne single che di mestiere fa il mistery guest per una catena alberghiera di lusso e di conseguenza gira instancabilmente il mondo dividendosi tra una vita lavorativa di solitudine e anonimato e una vita vera fatta di legami inevitabilmente complicati: viaggia sola, vive sola, e naturalmente mangia sola.
Sia quando torna a casa dall’ennesimo viaggio di lavoro e si prepara un piatto di spinaci scongelando una busta che alloggiava in freezer, o quando è in visita a un hotel di lusso e ordina per sé stessa il pranzo in camera, o quando fa colazione da sola in un meraviglioso resort sulle colline.
Il lavoro che fa la protagonista è quello dell’ospite a sorpresa che, in incognito, valuta e giudica gli standard qualitativi di alberghi di lusso, una specie di ispettore della Guida Michelin che piomba al ristorante senza preavviso e si annota ogni dettaglio, del pasto, del locale, del servizio. E che anche lui, mangia solo.
Guardando il film mi sono ritrovata in molte scene (non solo quando Irene torna da ogni viaggio e depone sulle mensole del bagno il bottino fatto da boccette di shampoo e bagnoschiuma prelevate with compliments dalla camera d’albergo), perché parte del mio mestiere sta proprio nel fare questo: viaggiare e mangiare da sola.
Per un periodo della mia vita ho viaggiato moltissimo, dormito 5 notti su 7 in hotel, viaggiato in lungo e in largo, provato ristoranti, degustato prodotti, visitato produttori, e tutto questo lo facevo sola.
Non era il viaggiare da sola che mi straniva, lo faccio volentieri quando si tratta di lavoro, ma la cosa con la quale ero meno a mio agio era il mangiare sola.
Salvo per questioni di lavoro, non sono mai andata a cena da sola.
Non mi sono mai auto-invitata a cena.
E quando ho dovuto farlo per lavoro, mi sono armata di telefono per chiamare tutti i miei conoscenti, pile di giornali e libri per ingannare la solitudine, oppure ho ordinato la cena in camera.
Mi chiedo se sia per convezione o perché il bello di una cena resta la condivisione. Ma non posso escludere che in parte giochi anche un fattore culturale: non capita spesso, come invece succede all’estero, di vedere una donna sola seduta in un bistrò o nel dehor di un locale che magari legge un libro e prende un caffè, o pranza in placida solitudine.
E dire che ci sono volte in cui accetti inviti a cena che ti fan rimpiangere la solitudine…
— Perché noi donne preferiamo essere male accompagnate che sole al ristorante, per esempio?
— E per gli uomini c’è lo stesso disagio o è diverso?
— Voi, donne e uomini all’ascolto, come vi comportate quando mangiate da soli?