Non occorre essere l’estensore di questo post per sapere che da tre anni il Noma di Copenhagen è il ristorante migliore del mondo. Complici le recenti Olimpiadi di Londra, dove il locale s’è reinventato ristorante pop-up all’interno del fascinoso Claridge Hotel, Rene Redzepi, chef e proprietario del Noma, ha deciso di rinnovarlo. Piuttosto che darci il nuovo e l’inaspettato, i designer hanno cambiato poche cose: lo schema dei colori, tavoli e sedie, il parquet di quercia.
L’ingresso del locale era arredato con lunghi contenitori rettangolari in legno e top di granito.
I contenitori sono ancora lì, ma al posto degli sportelli in legno ora ci sono lastre di colore grigio.
Prima le tende nere aggiungevano una sensazione di privacy, mentre il legno caldo creava un contrasto netto con l’ambiente del ristorante, un magazzino di pescatori dietro il porto di Copenhagen.
Ora tutto è luminoso e lo stile decisamente più minimalista.
La nuova saletta privata è arredata con tavolo rettangolare e sedie scure. Alle pareti curiose forme in metallo piegato.
Le tende scure sono state completamente rimosse per favorire la sensazione di un ambiente più arioso e inserito nell’area del porto.
Le sedie, non molto diverse da prima, sono ora in armonia con il nuovo schema di colori, più scuro.
Il bar, ridisegnato, è interrotto visivamente dalle bottiglie, accanto sedie e tavolini da cocktail.
Ma com’è mangiare nel ristorante migliore del mondo? Come ci è già capitato di dire, la cucina di Rene Redzepi è ludica: i piatti ci ingannano, ci invitano a giocare. Le cose non sono mai quello che sembrano, tutto pare a prima vista incongruo, poi meno. Detto che il menu degustazione costa 210 euro e l’abbinamento con i vini 135, proviamo a circostanziare.
Il primo antipasto, Focaccina al malto e ginepro, è mimetizzato nel vaso di fiori che decora il tavolo, per dire.
Subito dopo arriva un piccolo ciuffo fritto di lichene appoggiato sul muschio. Lo chef che lo ha cucinato, come d’abitudine al Noma la stessa che porta il piatto a tavola, dice espressamente di mangiare solo il lichene, non il resto.
Ecco biscotti e formaggio alle erbe serviti in una deliziosa scatola di latta decorata.
Questo è un esile rotolo di ribes nero con pelle di maiale spagnolo fritta.
Il piatto di cozze blu al sedano è splendidamente presentate, senza dubbio. Per inciso, le cozze sono tutte vuote tranne due e la conchiglia è commestibile.
Ancora antipasti: latte condensato con caramello e fegato di merluzzo.
In armonia con il nuovo ambiente anche i piatti sono minimal: pelle di pollo alla segale e piselli.
E’ poi la volta di patate e fegato di pollo.
La gallina e l’uovo è una specialità del Noma. Sono semplicemente uova di quaglia marinate, affumicate e servite in un contenitore stravagante.
Per mangiare il ravanello, terra e erba, bisogna cavare la pianta dalla “terra” (un mix di burro, nocciole, segale, malto e birra) del vaso in cui viene portato in tavola.
Sì, è indubbiamente un toast, ma alle erbe e con uova di merluzzo affumicato.
Æbleskiver e muikku, altro classico del Noma. Sono due palline di pancake in stile nordico che avvolgono la parte centrale di un piccolo pesce.
Contro ogni pronostico questo è il cestino del pane.
Passiamo ora ai secondi. Calamari e semi di prugnolo (una susina selvatica) serviti con ribes bianco al profumo di pino.
Piatto cromaticamente riuscito: crema di riccio di mare con aneto e cetriolo.
Quel che a prima vista sembra il piatto forte della serata è un’ostrica di Limfjords e alghe con uvaspina e latticello (ricavato dalla lavorazione del burro) servita in un letto di sassi. Sì, sassi, perché?
Castagne e caviale rosso Löjrom con noci e segale.
Bello saporito il lucioperca (pesce d’acqua dolce) e cavoli con verbena e aneto.
Minimal anche il nome: sedano e tartufo.
Siamo alle verdurine sottaceto e midollo con burro aromatizzato al prezzemolo.
E’ l’ultimo secondo del percorso: anatra selvatica e barbabietole con malto al profumo di faggio.
Inizia l’arci-parata dei dolci: Gammel Dansk, un amaro locale, bagna cioccolato bianco, cetriolo e sedano.
Una combinazione di ingredienti inusuale per un dessert: schiuma di carota, carote e olivello spinoso (una pianta medicinale) con aneto e pomodori secchi.
A seguire pasticcini, anche questi singolari.
Per esempio, il pasticcino sulla destra è midollo riempito di caramello.
Ecco le paparazzatissime formiche vive in creme fraîche, una panna acida diffusa nel Nord-Europa. In attesa di qualche lettore che ci ricordi con lodevole solerzia quanto abbiamo parlato delle formiche del Noma, e insomma, basta, informiamo gli altri della recente attrazione di Rene Redzepi per l’entomofagia, la pratica di mangiare insetti. Anzi, di farli mangiare ai suoi clienti.
Nel suo celebre piatto, le formiche, refrigerate e dunque anestetizzate rilasciano il sapore del lemongrass (citronella), mentre le sfumature agrumate contrastano il suolo edibile su cui gironzolano (il mix di burro, nocciole, segale, malto e birra che abbiamo già visto). In fondo al piatto ravanelli e sopra qualche ciuffo di creme fraiche.
Ma l’ultima trovata del Noma è il garum di cavallette (come sanno i gastrofanatici il garum è una salsa di pesce fermentata apprezzata già dagli antichi romani). Per farla servono solo quattro ingredienti: orzo, cavallette, sale e larve di scarabeo.
Chi tra noi dunque, magari avvalendosi di un breve giretto post natalizio, avrà il coraggio e lo stomaco previa prenotazione immediata, di sfidare formiche e cavallette del Noma dopo millemila commenti dei media e dei clienti? Noi contro Redzepi?
[Crediti | Link: Business Insider, Dissapore, immagini: Business Insider]