Ciao a tutti, mi chiamo Adriano Aiello e mi piacciono le guide. Ora, visto che non siamo in un’associazione di auto-aiuto, tiratemi pure le pietre addosso. O se volete, le vecchie edizioni del Gambero, della Guida alle osterie o quello che vi pare. Rimane il fatto che nonostante il web, i tablet, i social network, gli smartphone e gli amici opinion-leader mi piace ancora sfogliare le tanto bistrattate guide, valutarne le segnalazioni, criticarle, approfondirne i contenuti e la linea editoriale. Tenerne alcune in auto per l’occasione.
Lo so, sono (quasi tutte) troppo spesso in rapporti ambigui con l’oggetto d’indagine, lente a capire dove gira il mondo eno-gastronomico e sempre pronte a sputtanare ciò che differisce da loro (la linea di sbarramento antiblog manifestata al convegno Ais e documentata dai cugini di Intravino mette i brividi e genera sane risate). Aggiungo pure che la loro autocertificata e indiscutibile autorità interpretativa non mi convince affatto, ma ciò non toglie che esistano, si confrontino – con tutte le difficoltà del caso – con la realtà e non vedo perché vadano sempre bastonate con quel tipo di saccenza, pignoleria e narcisismo morale di cui abusiamo spesso nel 2.0.
Voglio dire, non sono un vecchio bacucco riciclatosi in questi lidi. Ho 36 anni oggi (se volete mandarmi salami, formaggi o bottiglie di buon vino per farmi gli auguri vi giro l’indirizzo) sono cresciuto con internet e passo la giornata davanti a un computer, ma vivo con fastidio questo continuo funerale del giornalismo “tradizionale” e di conseguenza delle guide.
Sarà forse colpa di Beppe Grillo e dei suoi deliri sulla rete, sarà colpa di una serie di concetti che mi urticano come una telecronaca di calcio della Rai (comunità, democrazia liquida, libertà d’informazione, controcultura) ma tra le varie opposizioni sacrosante e stimolanti, quella che finisce per decretare un giorno sì e l’altro pure la morte delle guide mi annoia e veicola un’idea fideistica e corporativa del mondo del web. Come se poi ognuno avesse gli stessi obiettivi solo per la condivisione del medium. E come se sul web non esistesse poi il gioco politico, il compromesso, il lavoro non pagato, la sentenza incompetente.
Alla fine credo che le guide siamo come i critici e la televisione. Se ne parla sempre per celebrarne la loro inutilità e inadeguatezza al mondo che viviamo. Ma sono sempre lì e come commenta spesso qualche lettore, fanno fare i numeri ai blog e siti vari che le denigrano; in sostanza alimentano il dibattito di qualunque natura sia, e soprattutto ossessionano molti di quelli che le reputano sorpassate.
Pensiamoci, probabilmente sono retoriche, vecchie e superate (più dal mondo delle applicazioni che dal web vero e proprio) ma hanno la loro ragione di esistere. E poi se voglio scoprire qualche buona trattoria o qualche interessante cantina nei dintorni del paese X, forse sono ancora efficienti. O forse no?