[Avviso: il post che segue è ad alto tasso di frivolezza. Poi vi dico dove andare per un bell’articolo sul perché e il percome di questa festa, su chi è Alain Ducasse e cosa ci faceva l’aristocrazia del cibo riunita a Monte-Carlo]
Sono stata a Monte-Carlo per le 48 ore di festeggiamenti per i 25 anni del Louis XV, il ristorante di Alain Ducasse considerato tra i più lussuosi al mondo, con una mossa presa a prestito dalla coppia diventata famosa per essersi imbucata a una cena di gala alla Casa Bianca.
L’esecuzione del mio piano è stata perfetta, c’era anche il segnaposto con il mio nome. O quasi.
A partecipare alle celebrazioni 240 tra i più grandi cuochi al mondo, per complessive 300 stelle Michelin: l’album Panini del cibo. Il cuore del weekend di festeggiamenti è stata la cena di gala di sabato sera, tenuta appunto al Louis XV.
Dress code: black tie, ovvero abito da sera per le signore e smoking per gli uomini. Quando arrivo basculando su tacchi alti, fasciata in un abito lungo, mi rendo conto che sono in tanti ad aver fatto spregio delle indicazioni, e ad essersi vestiti come se fossero diretti in ufficio.
Il giudice di Masterchef Joe Bastianich, per esempio, ha una camicia con le ruches.
“Hai una camicia con le ruches” gli dico. “A questo punto evitavo di comprarmi un vestito per l’occasione”.
“Ma se non ti metti un abito lungo a Monte Carlo la sera del venticinquesimo anniversario del Louis XV, quando altro dovresti indossarlo nella vita?” obietta lui.
La logica è ineccepibile, e comunque il Dom Pérignon scorre con tale liberalità che sembra uscire dai rubinetti, perciò comincio a rilassarmi e a dare un’occhiata in giro. Tra la folla assiepata nella hall dell’Hotel de Paris per il cocktail che precede la cena c’è Dave Chang del Momofuku, impeccabile nel suo smoking (“I’m a huge fan” gli dico, il mio spirito da groupie della gastronomia non ancora sedato dallo champagne); Gennaro Esposito vestito come se stesse per andare al lavoro in banca (“ma ho messo la cravatta!” Protesta con chi glielo fa notare); Heinz Beck de La Pergola che saluto mentre è immerso in conciliaboli con i giornalisti Enzo Vizzari e Fiammetta Fadda.
C’è l’irresistibile Rene Redzepi del Noma, che in un momento di entusiasmo saluto come ci conoscessimo da una vita, con suo comprensibile sconcerto; e il sommelier del ristorante Fäviken in Svezia, con cui discuto di come per noi europei di sinistra il Nord Europa sia un punto di riferimento (a posteriori, credo che quello sia stato il momento in cui ho cominciato a sentire lo champagne).
La cena è servita al Louis XV, una porta più in là: in stile vagamente matrimoniale, ogni tavolo reca il nome della verdura che fa anche da centrotavola – io siedo al Celeri Rave ovvero sedano rapa. Seduti insieme a me ci sono due terzi del cast di Masterchef in Italia, ovvero Carlo Cracco e Joe Bastianich; Rosa, la bella compagna di Cracco (“Mi hanno scritto Mme Cracco sul segnaposto!” “beh, a me hanno scritto Sarra Porra” “…”); Drew Nieporent del Corton di New York, che ripetutamente nel corso della serata mi dice che somiglio a un personaggio della nuova stagione di Boardwalk Empire, mentre mi mostra le foto su Google; Daniel Boulud dei ristoranti omonimi di New York; Catherine Roig di Elle Francia.
Decisa a non commettere passi falsi, vista anche la contemporanea presenza di alcuni chef italiani, ho mangiato una mezza dozzina di biscotti prima della festa, così da assumere l’atteggiamento distaccato di chi non concupisce troppo il cibo. Ma per qualche ragione, nonostante siano tutti seduti, la serata tarda a cominciare. Comincio a a occhieggiare il sedano rapa crudo al centro del tavolo.
All’improvviso nella sala si fa silenzio, e voltandomi capisco perché: al tavolo centrale, proprio dietro di me, prendono posto i principi monegaschi: ci sono sia il principe Alberto accompagnato dalla moglie Charléne Wittstock, dall’aria mortalmente annoiata, sia la splendida Carolina di Monaco. Al tavolo principesco (“il tavolo della sposa”, si maligna) anche Massimo Bottura e Alex Atala del D.O.M. di San Paolo.
“This is so old world” commenta uno degli americani al mio tavolo.
Questo è il menu della serata, con i vini in accompagnamento.
La cena è fantastica, nonostante la difficoltà di allestire per quasi 500 persone un pasto di grande livello. Il menu scelto da Alain Ducasse, che in questa occasione ha cucinato per la storia, comunica un messaggio chiaro: nonostante la presenza di alcuni ingredienti di lusso – come il caviale sul gamberone, in dose così massiccia da portare qualcuno al mio tavolo a commentare in modo un po’ provinciale “Non ho mai visto così tanto caviale tutto insieme” – (sì ero io), il cuore del menu sono le materie prime del Mediterraneo: la verdura, il pesce. Anche il sale è stato dosato con estrema parsimonia.
Il piatto della serata è per me il primo dessert, Cookpot de pomme et coing (“Cracco, che cos’è il coing?” “Ma come cos’è il coing!” replica con severità mastercheffa “è la mela cotogna!”). Di semplicità sublime, la terrina di frutta è accompagnata da gelato fatto con latte di Rocagel, la tenuta dei principi monegaschi.
Sono i vini del gruppo LVMH a essere l’incarnazione stessa del lusso: forse il bicchiere più straordinario è lo Chateau d’Yquem 1988 che approccio con l’intenzione di centellinarlo e che finisco per bere quasi di un fiato, come fosse sciroppo per la tosse.
È quasi l’una quando viene servito il caffè e gli ospiti si alzano dai tavoli, riunendosi in capannelli per chiacchierare e bere il cognac Hennessy Paradis Impérial della staffa. Abbiamo tutti passato una splendida serata, e le espressioni sui volti raccontano la gioia di essere stati testimoni di un’occasione straordinaria.
L’unico con l’aria un po’ stressata è Massimo Bottura, che confessa che essere seduto al tavolo dei principi lo ha un po’ intimidito, essendo stato costretto ad attendere ogni volta la mossa dei regnanti per mangiare.
Scambio due chiacchiere con la stilista Barbara Rilh, moglie del pasticcere haute couture Pierre Hermé, che porta uno splendido abito rosso. Registro la nostra conversazione alla voce: posto di moglie di Pierre Hermé -> preso.
Insoddisfatta del menu numerato come unico souvenir della serata, chiedo di poter portare via l’enorme sfera a forma di ciliegia in cima alla torta. “Bien sûr”, mi dicono.
Mi siedo fuori dall’Hotel de Paris aspettando un taxi. Di fronte a me, il Casinò di Monte-Carlo risplende illuminato a festa.
Non mi servirà la ciliegia che ho trafugato per essere certa di non dimenticarmi di questa serata.
*Per un rendiconto meno frivolo vi rimando a Paolo Marchi sul sito di Identità Golose]
[Crediti | Link: Corriere, Identità Golose, immagini: Realis Agence Photo]