Non credo di essere in grado di capire per quale processo di irresponsabilità uno dei post che continuiamo a leggere di più su Dissapore è Quanto costa aprire un ristorante oggi?. Cos’è un sogno, una segreta debolezza, indifferenza verso il controllo mensile delle nostre spese? Eppure è così, lo dicono la tv, il successo degli chef, la fila fuori da alcuni ristoranti alla faccia della crisi che morde.
Sicché, rotto il maialino di coccio in cui da anni infilavamo le poche monetine avanzate, rispolverata la mai sopita passione per la cucina (tipo: “pensa che ancora mi ricordo il sapore della lasagna di mia nonna alla domenica” ma anche “il calore del pane caldo appena sfornato…“) decidiamo di aprire un ristorante. Scegliamo il posto, consultiamo l’amico che sa tutto di locali, investiamo un capitale per il consulente che si occuperà della start up. Suona familiare? A me sì.
Il consulente nella migliore delle ipotesi è un professionista del settore, preparato, creativo, disponibile. Ne conosco alcuni. Ma nella peggiore e più comune delle ipotesi, ci ripeterà come un mantra le regole da seguire per essere un buon restaurant manager. Usando (prepariamoci) moltissime parole in inglese.
In un sito di esperti ho trovato un piccolo vademecum che vorrei condividere, consapevole del fatto che non riuscirò a risparmiarvi alcune considerazioni personali. Iniziamo:
1) “Il Cliente ha sempre ragione” e solo la capacità di gestire il suo complaint (online e offline) deciderà la tua sorte: tornerà?
No. Il cliente non ha sempre ragione. Capita anche che il cliente sia solo un rompiballe che s’è svegliato quella mattina proprio per sedersi al vostro tavolo e accusarvi di aver messo troppo poco pane nel cestino del pane. Vero è che un buon ristoratore sa come barcamenarsi in tutte le situazioni, ha un atteggiamento paziente, ha fatto anni di terapia individuale e di gruppo, sa gestire bene la rabbia. Non guarda ai clienti né come padroni del suo ristorante né come soldi che camminano. Instaura un rapporto diretto, sa spiegare le proprie ragioni e sì, può anche scegliere di non voler vedere più un cliente cafone al suo tavolo. E’ nei suoi diritti.
2) Le prestazioni del personale di servizio, sia di sala sia di cucina, devono essere alte e questo deve essere sempre ben chiaro a tutto il team.
Certo che è auspicabile avere un team da brivido in sala e cucina, ma per far questo il ristoratore dovrebbe sostituirsi a quasi tutte le figure del suo ristorante, almeno in sala, e conoscere disagi, interazioni, problemi dei vari ruoli. Essere il primo a dimostrare, e poi pretendere, grande competenza. Non lo dico io, ma i grandi ristoratori. Se ritenete, smentite.
3) Advertising your Restaurant is a must: non dimenticare che gran parte del tempo del management è dedicato a farsi conoscere online e offline.
Okay, lo sappiamo, la pubblicità è l’anima del commercio. Però la chiave sta nel COME farsi conoscere. Passare la giornata taggando gli amici di Facebook su ogni piatto del menù, tutte le sere dell’anno, potrebbe essere controproducente. Ci si fa conoscere con un carattere luminoso e appassionato offline (ecco, mi sono fatta condizionare) , e con la capacità di utilizzare i social network online dialogando con altri individui, non con delle asettiche bacheche da tappezzare di informazioni. Fino a qualche anno fa, non molti, era il passaparola la chiave del successo e si otteneva con qualità, gentilezza, competenza, creatività. Ben venga l’uso delle nuove tecnologie, senza dimenticare qual è, in effetti, il nostro mestiere.
4) Monitorare a che punto si è: quanto manca per raggiungere il break-even point? (ndr. punto in cui raggiungo la copertura del mio investimento)
Mi sentirei di tradurre questo punto con una regola generale: conoscere fino al più piccolo dettaglio tutte le spese del proprio ristorante e questo implica: avere rapporti diretti con fornitori possibilmente di fiducia, monitorare le uscite e le entrate, non fidarsi troppo del personale, conoscere l’esatto costo della materia prima, porsi un obbiettivo di guadagno e raggiungerlo trovando equilibrio tra tutte le voci, rivedendole da capo e poi di nuovo. Il ristoratore lavora h24, mi dicono.
5, 6, 7, 8) Attivare strategie di promozione, consentire tutte le forme di prenotazione e di pagamento, essere innovativi, essere Green per risparmiare e per condividere valori.
Tutto più o meno vero, ma ci metterei dell’altro. Per esempio:
(9) Chi apre un ristorante dovrebbe essere cosciente che sta gestendo un’azienda, non il luogo di incontro dei suoi amici. A detta di molti, sono proprio gli amici quelli che più spesso creano problemi. Gli amici che vengono senza prenotare, che pretendo attenzione, che esigono lo sconto anche in tempi bui, che fanno chiasso, che danno fastidio e bla bla. Gestirli è compito del ristoratore, ingrato aggiungerei.
(10) Ci deve essere. E’ uno dei mestieri più faticosi in assoluto: gli orari sono impietosi, le cose da fare troppe, la possibilità di delegare relativa. E’ impossibile pensare di far funzionare una macchina così complessa senza far sentire la propria presenza costantemente, senza incarnare l’anima del posto. Chi lavora bene riuscirà prima o poi ad avere uno staff eccellente e la possibilità di allontanarsi, ma non è facile, e non succede quasi mai nei primi anni.
Infine, ma più che una regola questa è una precondizione: deve amare questo lavoro. Follemente. Ho visto ristoratori assaggiare in modo compulsivo tutte le sperimentazioni della cucina, suggerire, valutare, decidere ogni più piccolo dettaglio, dalla mise en place alle divise dei camerieri, con la passione necessaria per affrontare un mestiere davvero duro. Perché lo è.
Cosa ho dimenticato?
[Crediti | Link: Dissapore, Comunicazione nella ristorazione. Immagine: Lifehacker]