Ad agosto c’è chi si annoia al sole e chi rischia il linciaggio, toccando l’intoccabile. Il mostro sacro, in questo caso, si chiama Iginio Massari e chi segue Dissapore sa che da queste parti il suo nome sfiora l’idolatria a causa di un’aurea papale data dall’outfit immacolato e dalla fama di “megadirettore galattico” dei lievitati.
D’altra parte è agosto anche per il Maestro Massari che, puntuale come il servizio sull’afa di Studio Aperto, cade nel tranello di prestare la sua faccia all’ennesimo post sul gelato, tra l’altro scivolando sul cono.
E noi, che non abbiamo religione (e che non siamo ahinoi in ferie) vi diciamo perché il cono è la buccia di banana di Iginio Massari che forse, come tutti i pasticceri, considera la gelateria un’arte minore.
Partiamo dalle cinque dichiarazioni del Sommo:
1. “Il vero gelato all’italiana è quello nel cono. Non vedrete mai a Parigi le persone prendere un gelato nel cono con l’idea di andare a passeggiare per la città.
È una tradizione tutta italiana, fa parte del nostro Italian Style, che, purtroppo, si sta perdendo perché vogliamo essere uguali agli altri.”
C’erano un’inglese un italiano e un americano. No, non è la solita barzelletta ma sono i tre individui che si contendono la paternità del cono gelato. Insomma, in realtà l’invenzione del cono è contesa tra una food-writer inglese (nell’epoca in cui ancora si chiamavano scrittrici), un emigrato italiano negli Stati Uniti e un americano vero.
Anche volendo fare i patrioti a tutti i costi, e dire che Italo Marchionni, emigrante cadorino partito dall’Italia nel 1895, si è inventato il cono, prenderemmo una grossa cantonata.
Italo l’italiano pensò bene di utilizzare una cialda al posto dei bicchieri di vetro per servire il gelato fin dall’anno successivo al suo arrivo a New York (quindi sarebbe nato in America, giusto?).
Poi c’è la storia a cavallo tra XIX e XX secolo, di quando altri gelatieri veneti in cerca di fortuna cominciarono a vendere il gelato su cialde arrotolate a mano, ma poi la storia finisce con loro che si sparpagliarono nell’impero austroungarico, e chi s’è visto s’è visto.
Oggi il cono ha praticamente colonizzato il pianeta, fatta eccezione per i Paesi musulmani dove il gesto di leccare dal cono gelato pare sia considerato disdicevole, soprattutto in pubblico.
Conclusione: dire che il gelato all’italiana è con il cono è un’eresia storica, o se volete pare un claim pubblicitario in stile cuore di panna.
2. “Oggi si usa un cono che sembra più un’ostia. Il vero cono all’italiana, invece, deve essere spesso e croccante, magari arricchito con farine di mandorle o di nocciole per renderlo ancora più saporito. Così diventa il vero complemento di un buon gelato.”
Sul ruolo complementare del cono esistono due scuole di pensiero: c’è chi preferisce in cono stampato (“l’ostia”) dal sapore il più possibile neutro per non intaccare il gusto del gelato, e chi invece preferisce un cono croccante (arrotolato e quindi più spesso) perché lo considera parte integrante stessa della degustazione.
Coni troppo decorati o zuccherati rischiano di andare a coprire il gusto del gelato stesso, più che di accompagnarlo. Il capitolo sulla qualità dei coni che mangiamo nelle gelaterie in Italia, stampati o arrotolati che siano, meriterebbe un lungo approfondimento a sé, in effetti.
Al solito, il bel Guido Martinetti di Grom fà da apripista e da quest’anno dispensa coni senza olio di palma e fatti con il più pregiato burro.
3. Come deve essere il vero gelato all’italiana?
“Si parte sempre dall’ingrediente, questo non mi stancherò mai di ripeterlo. Vi sembra banale? Non importa, se non si parte da materie prime eccezionali, non si avrà mai un gelato eccezionale. Io da più di cinquant’anni difendo il vero gelato all’italiana.
Un esempio pratico: il mio gelato alla fragola è fatto con un chilo di fragole, 5% di succo di limone e una parziale aggiunta di zucchero, di solito del 22%, quindi circa 22 grammi ogni cento di polpa.”
Vabbeh, su questo niente da dire. E’ ovvio che sia la materia prima a determinare un grande gelato. La stessa cosa vale per la cucina in generale: avete mai visto Cracco realizzare dei piatti con due acciughe sott’olio dimenticate per un mese in fondo al frigo?
Citando il tecnologo alimentare Franco Bray “la composizione del gelato è fatta di delicati equilibri” e la ricetta del sorbetto di frutta di Massari, scusate se ve lo dico, eccede in frutta fresca ed è scarico di zuccheri (l’ho detto). Difficile avere una buona struttura che rimanga spatolabile in vetrina con quelle dosi, che non prevedono neppure l’ombra di un addensante, manco la carruba.
A dirla proprio tutta, un gelatiere coi controconi non è solo quello che crea un ottimo gelato, ma anche quello che lo produce bilanciato al punto giusto, che regga le temperature, che si conservi con una struttura stabile, omogenea e SPATOLABILE non solo all’istante, ma per tutto il tempo che starà in vetrina.
4. E il gusto crema perfetto?
“Il gusto crema è fatto con 10 tuorli d’uovo, 4 baccelli di vaniglia, 800 grammi di latte intero, 200 grammi di panna, 200 grammi di zucchero, 60 grammi di glucosio. Inoltre, lascio in infusione nel latte un bastoncino di cannella e qualche chicco di caffè per dare ancora più aroma.
Il composto viene poi mixato ad altissima velocità per renderlo cremoso e qui entra in gioco la tecnologia, altrimenti non si potrebbe mai avere un gelato così setoso, se non con i prodotti chimici, ma io sono contrario.”
Le chicche di Messer Massari: utilizzare cannella o caffè è un piccolo segreto ben custodito, come anche quello di usare pure scorze di limone o arancia. La sua ricetta è quella reazionaria, classica e tradizionale per eccellenza: senza latte in polvere o altri tipi di solidi, molto carica di bacche di vaniglia (pure troppo) e con una buona dose di glucosio (anche se il maestro non specifica il tipo) che rischia di rendere il gelato un po’ freddo.
E poi c’è tecnologia: per avere risultati al top, roba che il gelato sembri davvero un foularino di cashmere, ci vogliono grandi macchine di tipo industriale per l’omogeneizzazione (quelle più piccole a portata di pochi artigiani hanno risultati minori).
Comunque, anche se la vostra gelateria non dispone dell’ultimo modello delle Ferrari da gelateria, un buon mixer a immersione e soprattutto una buona ricetta possono dare grandi risultati sulla texture del gelato anche senza usare prodotti chimici.
5. Quali sono i gusti preferiti dal pubblico?
“Non c’è niente da fare, alla gente piacciono i grandi classici, crema, nocciola, fiordilatte, caffè, cioccolato, fragola, fragoline di bosco e limone su tutti.
Poi si trovano centinaia di gusti, ma le persone li assaggiano solo per curiosità, poi li abbandonano.”
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I gusti classici alla fine trainano le vendite: VERO. Però bisognerebbe far presente a Iginio Massari che il gusto fragoline di bosco non è poi così diffuso, e neanche tra i fruttivendoli la materia prima. Forse Massari parla degli anni ’80, quando le gelaterie abusavano di paste pronte anche nei gusti alla frutta.
I gusti nuovi vengano assaggiati e abbandonati: NON SEMPRE. Forse vale per i gusti gastronomici, quelli salati.
Per il resto, basti pensare al pistacchio di Bronte, al caramello salato, alle mille varianti con lo zenzero che sono il must dell’estate, o anche al fondente che era introvabile nelle gelaterie italiane solo 20 anni fa.
Oggi che di gelaterie ce n’è una ad ogni angolo ci sono quelle dall’impronta più classica, e altre più alternative dove i clienti vanno proprio per l’offerta innovativa.
6. Il peggior gelato che abbia mai assaggiato e che non dimenticherà mai.
“Un gelato al tartufo bianco che ho assaggiato a Parigi. Sembrava una lumaca viva che ti scivolava in gola. È l’esempio lampante di come fare un flop con un ingrediente costosissimo. A questo punto, meglio preferire la semplicità.”
La semplicità vince sempre, d’altronde il vero test per un gelatiere non sono pur sempre i gusti della tradizione?
Alla fine mi restano due domande sospese, che forse non mi faranno dormire stanotte.
Cono o coppetta?
Gusti classici o innovativi?
[Crediti | Link: Dissapore, Magazine Expo]