Italia: terra di tradizioni gastronomiche, di campanilismi di ricette che cambiano ogni rione. Con il caffè le cose non sono molto diverse, per quanto territorializzare qualcosa di profondamente esotico possa sembrare un controsenso, o una posa vagamente hipster. Non lo è. Se il caffè arriva da lontano le tradizioni regionali sono ricche di storia e di fascino. Intendiamoci, ho detto tradizioni non fisime da psichiatria allo stato puro. Tipo gli infiniti modi di servirlo o le 2000 variazioni triestine.
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Insomma, città che vai caffè che bevi. Più o meno. Con dei casi eclatanti che andiamo a raccontarvi, forti del ripasso fatto al Salone del Gusto, in un prezioso laboratorio di Lavazza sul tema.
Cogne, Torino, Padova, Fano, Livorno, Napoli, Lecce e Reggio Calabria. Otto diverse tradizioni e ricette. Ne esistono altre che ci direte voi, come sempre, intanto noi vi raccontiamo queste.
Caffè alla valdostana di Cogne.
L’interesse gastronomico per la Valle D’Aosta è inversamente proporzionale alla dimensione della regione. Non fa difetto il cafè à la cognèntse, più famoso per il suo contenitore comunitario in legno (la grolla, o più frequentemente la coppa dell’amicizia che vedete in foto) che per la preparazione.
Per ogni tazza di caffè ve ne serve mezza di grappa o di genepì, due cucchiaini di zucchero, una scorzetta di limone e di arancio, chiodi di garofano, cannella e ginepro. Si versa nella coppa il caffè, che deve essere lungo e bollente, meglio se preparato per infusione diretta e non espresso; aggiungete lo zucchero, le scorze e le spezie. Cospargete l’orlo della coppa con zucchero, bagnandolo con la grappa e versandone il resto nel caffè. Date fuoco al liquido, rimestando con un cucchiaio e lasciando bruciare fino a quando lo zucchero sul bordo non sia caramellato.
I convitati berranno, una volta spenta la fiamma con il coperchio, uno dopo l’altro e in senso antiorario, dai diversi beccucci della coppa, col metodo detto à la ronde.
Bicerin torinese.
Prima del celeberrimo Bicerin, a Torino c’era la Bavareisa, specialità del ‘700 di origini francesi in cui caffè, cioccolata e panna liquida venivano mescolati insieme, invece che in tre strati separati. Con il nuovo metodo la ricetta si è stabilizzata, come l’usanza di abbinarla ai bagnati, piacevoli dolcezze artigianali. Oggi si usa legarlo alla pasta di meliga.
La ricetta è nota e semplicissima: per ogni caffè si aggiungono 30 ml di cioccolata calda e si mescola; successivamente si aggiunge uno strato di panna liquida con un cucchiaino.
Per l’angolo non tutti sanno che: la barbaiada milanese ne è un’imitazione al limite del plagio. Il suo inventore, Domenico Barbaja, era infatti un garzone di caffè a Torino e lo importò nel capoluogo lombardo.
Caffè padovano.
Ricetta storica legata a Francesco Pedrocchi, ma soprattutto a suo figlio Antonio che nel 1826 progettò una torrefazione compresa di mescita che divenne il ritrovo degli intellettuali dell’epoca.
Sopra una base espresso si posa la panna, il latte e una spolverata di cacao, ma la particolarità (che risale proprio a un vezzo intellettuale di riconoscimento estetico) è l’utilizzo delle sciroppo di menta per rievocare i colori del Caffè Pedrocchi.
Per creare la crema da aggiungere al caffè si consiglia di unire lo sciroppo, il latte e la panna ed emulsionare con uno shaker fino a che il composto risulti ben aerato.
Moretta Fanese.
Bevanda tradizionalmente legata ai pescatori di fine ‘800 come riciclo di alcolici: è molto dolce e nasce come digestivo o come corroborante pomeridiano.
La sua forma definitiva a tre strati si assume nel dopoguerra, con l’affermarsi della macchina espresso. Al caffè viene aggiunga una miscela di anice, rum e zucchero scaldati con una scorza di limone che rimane stratificato. La versione casalinga con la moka viene fatta con 20 ml di anice Vernelli, 10 ml di rum e abbondante zucchero.
Ponce alla livornese.
Versione italiana del noto punch inglese, con il caffè al posto del tè. Secondo le fonti storiche più accreditate, deve la sua storia proprio alla grande colonia britannica di Livorno. Altra sostituzione importante è quella che impose il rum fantasia (o rumme), un’invenzione locale costituita da alcol, zucchero e caramello di colore scuro, al posto dell’originario rum delle Antille.
Inizialmente (nell’800) si prevedeva una preventiva bollitura del caffè macinato in una pentola piena d’acqua; da ciò si otteneva un infuso che veniva filtrato con un panno di lana e immesso nella caffettiera. Al caffè che usciva dalla macchina veniva poi aggiunto con un misurino il rumme o la “mastice”, una versione del Mistrà, liquore di semi di anice verde macerati in alcol.
La versione attuale è degli anni ’50 ed è caratterizzata dalla vela di limone che si usa per effetto estetico e per dare una nota agrumata. Si dice che inizialmente la striscia di limone venisse passata su tutto il bordo per igienizzare la tazzina.
Caffè napoletano.
La sua tradizione è legata alla storica produzione di nocciole di Giffoni, da cui derivano anche i wafer napolitaner, che usano queste nocciole e hanno una carica aromatica eccezionale.
Non esiste una ricetta fissa ma una serie di variazioni sugli ingredienti base: caffè e crema di nocciola. Molto usato un tocco di panna per far poggiare il tutto sulla superficie e valorizzare il contrasto termico con la tazzina molto calda.
Caffe alla salentina.
La bevanda regina delle caldi estati leccesi nasce negli anni ’50 e conta una preparazione certosina che permette di freddare la bevanda senza annacquare il caffè. Al composto si aggiunge il latte di mandorla di Bari e/o Foggia, come dolcificante.
Il latte di mandorla può essere fatto o con il panetto sciolto in acqua o utilizzando uno sciroppo, come è frequente trovare nei locali. Si mette come base, prima di versare un espresso lungo e si copre tutto con molto ghiaccio.
Prima di berlo va mescolato per evitare di fare rimanere lo sciroppo in fondo. Perfetto con i biscotti di Ceglie, presidio Slow Food di Messapica.
Caffe calabrese.
Caffè e Brandy, mescoltati con l’eccellente liquirizia calabrese. Ricetta semplice che richiede alcune accortezze e mal si lega a chi soffre di ipertensione.
Si mette lo zucchero di canna in un bicchiere piccolo e si aggiunge il Brandy, poi si scalda con la lancia vapore. Intanto, in un mortaio, va pestata una pastiglia di liquirizia da aggiungere al liquore scaldato. Si aggiunge l’espresso e si beve bollente.