Non c’è (quasi) posto al mondo dove non si possa comprare un hamburger. Agli archi di McDonald’s o alle griglie fiammeggianti di Burger King non si sfugge neanche sulle vette sacre del monte Tai, in Cina, o nelle foreste pluviali del Brasile.
Ma se l’hamburger prodotto in massa è più che altro scarto, cibo composto da una lunga serie di additivi che portano a un prodotto finale di modesto valore nutritivo, il cosiddetto hamburger gourmet con la sua elaborazione a base di ingredienti selezionati, condimenti Dop, personalizzazione estrema, è da qualche anno roba da palati sopraffini, come sanno bene i divoratori delle classifiche di Dissapore.
Di manzo con un po’ di grasso e buona consistenza, preparato alla perfezione, con una crosta saporita sottile (mai bruciata altrimenti diventa amara), idealmente cotto “medium rare“, ovvero rosato e tiepido all’interno, l’hamburger gourmet si inserisce in un panino appena tostato, sufficientemente robusto da restare intatto anche dopo aver assorbito i succhi della carne, però abbastanza morbido da essere morso con facilità.
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Sono acqua passata le scomuniche dei puristi che tra la carne e il pane mettevano soltanto un sottile strato di cipolla dolce cruda e una piccola quantità di ketchup, alternativa consentita la senape di Digione, ma niente maionese, cetriolini sottaceto, insalate e pomodori che raffreddano la carne, formaggio e bacon forse, ma non per coloro che amano il gusto pieno della carne.
Oggi in nome della creatività ognuno fa un po’ come vuole. Se agnello, pollo e anche cavallo rappresentano saporite alternative al solito manzo, sul companatico ci si scatena proprio. Formaggi di ogni provenienza, elaborate salse fatte in casa, frutta, verdura, ortaggi sino all’afflato salutista dei mirtilli, delle bacche di goji o dei fagioli azuki.
Per chi è colto da improvvisa voglia e desidera annotarsi gli indirizzi imperdibili dell’hamburger da conservare gelosamente nello smatphone, il Telegraph proprio in questi giorni ha dedicato al tema una delle sue gallerie. Una lista interessante che, non chiamateci incontentabili, sentiamo il bisogno di integrare con alcune assenze maledettamente vistose.
In primo luogo Blend, miglior indirizzo parigino, ma con licenza parlando delle intere terre emerse, anche.
Poi Minetta Tavern a New York, dove l’hamburger “Black Label” domina inattaccabile: un mix di carne magnificamente frollata, skirt steak (taglio di pancia diffuso negli Stati Uniti), e petto di pollo proveniente dalla spettacolare Creekstone Farms. La cipolla caramellata aggiunge un tocco di dolcezza.
E faremmo un torto alla magnificenza dell’hamburger di Al Mercato, minuscolo locale milanese diviso in due metà esatte, hamburgheria e ristorantino creativo, se non lo includessimo in questa infornata di posti da provare a tutti i costi.
E adesso cominciamo.
PATTY AND BUN – LONDRA
Patty and Bun ha una storia piuttosto originale. Nato come locale temporaneo, uno dei tanti pop-up che ogni giorno aprono e chiudono a Londra, ha messo insieme tre punti vendita e uno stuolo di clienti-fan che adorano gli hamburger, noti per gli ingredienti di qualità elevata come i panini con lievito madre, e se possibile inglesi. Fatta con una ricetta segretissima, la maionese affumicata è particolarmente deliziosa. Con l’apertura più recente nella zona di London Fields è arrivato anche un brunch cui è difficile resistere.
BURGER JOINT, LE PARKER MERIDIEN HOTEL, NEW YORK
Nascosto all’interno di uno degli hotel più modaioli di New York, Le Parker Meridien, cosa che non dispiace ai numerosi affezionati, Burger Joint è da anni uno degli indirizzi più solidi della Grande Mela per i patiti di patty and bun. A rubare la scena nel locale è la carne black angus proveniente dal Nebraska, mentre i giornalisti del Telegraph eleggono a loro preferito il “Cheeseburger” con sottaceti e senape a 8, 96 dollari.
AU CHEVAL, CHICAGO
Per il patinato mensile americano Bon Appetit i panini alla carne di manzo di Au Cheval sono “prelibatezze senza fronzoli”. Non per niente li ha premiati con l’impegnativo titolo di “migliori d’America”. I gestori poi sembrano divertirsi a complicare le cose. Il “Single Burger” –9,95 euro– ospita a dispetto del nome due polpette di carne succulenta, mentre il “Double Burger” –11,95 euro– ne somma a tre. Piuttosto estremo. I prezzi ragionevoli causano lunghe e costanti code.
BURGER LOUNGE – QUEENSLAND – AUSTRALIA
Il primo motivo per cui Burger Lounge è famoso è l’incredibile numero di voci presenti sul menu. Tutti hamburger ovviamente nell’informale locale australiano costruito dirimpetto a una spiaggia famosa. Gli sbranatori hard-core trovano pane per i loro denti con il “Nirvana beef burger“. Se nella prima parte degli ingredienti –manzo, bacon e uova, somiglia a centinaia di altri hamburger per uomini veri, le radici di barbabietole e l’ananas sono decisamente degli inediti.
PJ CLARKE’S – NEW YORK
Sono tanti a New York e anche altrove, il più famoso si trova tra la Third Avenue e la 55th Street, e a dire il vero non da ieri: gli anni di attività sono solo 130. Ovvia l’atmosfera retro e tra i panini uno dei top burger di New York: The Cadillac, con pancetta affumicata e formaggio Cheddar.
LE CAMION QUI FUME – PARIGI
Nello stile dei grandi food truck americani, non a caso proprietà di un californiano, Il Camion che fuma, rinomato in tutta Parigi per la qualità top della carne, il formaggio cheddar saporito e i panini freschi sfornati da un panificio artigianale nelle vicinanze, è l’unico mezzo mobile di questa lista. Gli spostamenti comunicati pochi giorni prima dal sito internet del camionburger sono sempre molto seguiti anche perché hamburger e patatine, sempre all’altezza, non superano i 10 euro.
BRINDLE ROOM – NEW YORK
Più che un semplice hamburger una leggenda vera il Sebastian’s Steakhouse Burger (15 dollari con le patatine), primo motivo per cui New York ama Brindle Room in zona East Village. Con la sua inedita e segretissima miscela di manzo in parte invecchiato e in parte fresco il panino è così popolare tra gli appassionati che non è mai stato tolto dal menu.
DIRTY BURGER – LONDRA
Il successo di Dirty Burger si misura dal numero di aperture, quattro nella sola Londra e uno negli Stati Uniti, a Chicago. Al contrario di molti burger joint il menu si presenta striminzito, articolato com’è su pochi panini dominati dal peccaminoso “Dirty Bacon” anche se mancano più morigerate versioni vegetariane. Promossi a pieni voti anche gli anelli di cipolla fritti, generosa compagnia degli hamburger (come se da soli non apportassero già abbastanza calorie).
FERGBURGER – QUEENSTOWN -NUOVA ZELANDA
Trovata la sede adatta ad accogliere un numero sempre crescente di clienti, Fergburger non si nega hamburger classici e più stravaganti come quello al merluzzo. Per gli appetiti extra la stella del menu sembra essere il “Big Al” (prezzo 17,50 dollari), bestione con doppia porzione di manzo australiano prima scelta, bacon, formaggio, due uova, barbabietola, lattuga, pomodoro, cipolla rossa e una generosa spalmata di salsa aioli, alla moda mediorientale.
ROYALE EATERY – CITTA’ DEL CAPO – SUDAFRICA
Con 50 e passa voci presenti nel menu, quasi del tutto dedicato agli hamburger, Royale Eatery per gli amanti del genere di Città del Capo è un sogno che diventa realtà. Qui l’attrazione della festa si chiama Santori burger, che Il Telegraph descrive come sensazionale carne di maiale condita con salsa teriyaki fatta in casa, zenzero e peperoncino.
[Crediti | Link: Dissapore, Telegraph]