La prima quaestio di oggi è: quella salsina giallognola che sembra una mayo con la varicella come la vogliamo scrivere? Bernese o bernaise? O – udite udite – addiritüra [è milanese…] béarnaise?
Che sia per omaggiare i Borboni o anche solo per una generica forma di sudditanza filologica verso i cugini d’Oltralpe [che, peraltro, non se la meritano affatto], se la scorsa settimana avevate optato per il “circonciso” ragoût, allora anche stavolta non abbiate esitazioni e votate per il francesissimo béarnaise.
Se invece siete del partito del purè e la purée vi sembra un dialettismo di pera [scusate il cacofonico gioco di parole per-pera-perae, peramus-peratis-perant…] invece che un vellutato passato di patate, allora adagiatevi in un comodo, italianissimo bernese.
Certo, la grafia francese rende merito all’origine della ricetta, mentre quella italiana potrebbe suggerire qualche legame con gli abitanti di Berna.
Beh, sappiate che la Svizzera non c’entra niente: la béarnaise nasce per merito del solito errore in cucina, della statua di Enrico IV e della sua città d’origine – Peau – nell’antica regione del Béarn (per l’appunto, avec l’accent), oggi porzione del dipartimento dei Pirenei Atlantici.
Quindi, siamo alle solite: voi dalle tastiere ostiche agli accenti, gustatevi in tutto relax la vostra Bourguignonne con la bernese, con buona pace di Berna, di Lugano e della Svizzera tutta [che peraltro ne rivendica i natali, della fondue di cui sopra].
Se invece l’accento giusto vi smuove l’acquolina, zompate sull’accento e il dittongo di una béarnaise senza esitazione alcuna. Sull’alternativa bernaise, invece, sorvolo perché è sbagliata: né italiano, né francese, se la chiamate così v’impazzisce di sicuro.
Sempre in tema di francesismi, vorrei proseguire dilettandovi con il dubbio amletico gattò vs gâteau.
Ovvero: lo sformato di patate più famoso del mondo [quello che – come la salsa di pomodoro – in ogni famiglia ha un sapore diverso, complici le lotte intestine tra scamorzine e mozzarelle, prosciutti cotti e mortadelle, uova sode sì, uova sode no – e so che sto per scatenare la Madre dei Dibattiti] secondo voi deve mantenere la grafia française o scegliere orgogliosamente la forma gattò in onore ai partenopei natali – pare addirittura di matrice monastica?
Ma dai, le Clarisse si sfondavano di gattò???
Comunque sia, la vostra Maestrina dei Cinque Cereali vota per quest’ultima versione: intanto perché la doppia tt di gattò è come il fiocchetto di burro che guarnisce la spolverata finale di pangrattato [o pan grattato, parbleu?]; ma soprattutto perché gattò può essere ellittico del complemento di patate: ’o gattò è una certezza, la prova inconfutabile dell’esistenza di Dio oltre ogni ragionevole dubbio.
Il gâteau, invece, è termine generico per torta, dolce, sformato, addirittura biscotto: uè, uaglio’, vulimm pazzia’? Che è ’sto biscotto di patate???
Concludendo, pur nel caso questa crociata non v’avesse convinto e vincesse in tutti voi il rispetto filologico e la sudditanza ai “cugini” di cui sopra, mi raccomando: l’accento circonflesso sulla a non me lo potete lasciare per strada. Basta andare qui e fare un “incolla speciale – testo non formattato”.
E che il circonflesso sia con voi, con buona pace delle Clarisse.
[Crediti | Link: Dissapore, Wikipedia Cg64, Larousse]