Che nei giorni del Fuorisalone la viabilità di Milano diventa un rompicapo, l’abbiamo detto. Non si riesce a trovare parcheggio, la gente ti cammina anche sulle spalle e tutti sono (sembrano?) fastidiosamente sopra le righe. Nella settimana del design, fuori dagli spazi ingessati e perfettini del Salone del Mobile pulsa il cuore di una Milano iperattiva, ipercreativa, poliglotta e pure un po’ mignotta. [related_posts]
Nel senso che, facilona qual è, apre i portoni che solitamente restano chiusi, si scopre sensuale e per nulla grigia, fa la smorfiosa coi turisti e con tutti quelli che la calpestano distratti e intenti nell’opera omnia dello scrocco collettivo.
Viste le premesse sul come si mangia al Fuorisalone quest’anno, per non cadere nel solito errore dei piedi gonfi come zampogne alla fine di una giornata a girare senza meta, mi sono affidata al mio amico Riccardo, che per prima cosa è un designer e poi di certo è una guida migliore del sito ufficiale del Fuorisalone, da cui non si riesce a uscire, come dal labirinto di Shining.
Riccardo non mi vuole far perdere tempo negli angoli mainstream del Fuori Salone, ad esempio Brera o Tortona, ormai istituzionalizzati. Qui il Fuorisalone, si dice, da avanguardia fuori dai canoni dell’esposizione ufficiale, ormai si è trasformato in un’appendice di quest’ultima.
“Lambrate, invece…”
E Lambrate, anche se oggi non splende il sole, pare risplendere di suo. La gente non è conciata come se fosse la reincarnazione di burattini irreali e ridicoli, piuttosto si guarda in giro, riscoprendo il design (anche quello che viene da lontano) e alcuni scorci di città che non ti aspetti.
Sì, ma cosa ho visto?
La mia guida sa cosa cerco, quindi mi accompagna attraverso un tour obbligato tra vasi, lampade, sedie e tavoli, ma poi mi indirizza dove, virtuali o reali, campeggiano cubitali scritte “food”. Il Fuori Salone, nell’anno di Expo2015, racconta il mondo del cibo come companatico, senza beatificarlo, lasciandolo un po’ ai margini in una manifestazione in cui non è (almeno per una volta) la prima donna, ma un attore non protagonista con buoni spunti.
STREET FOOD VERO E PRESUNTO
Le offerte mangerecce del Fuori Salone sono appena sufficienti, a meno che non si voglia interrompere il tour e cercare qualche ristorante.
Le strade, infatti sono disseminate di (nell’ordine) una miriade di banchetti di gelati onnipresenti, street-food vero (la miassa è sempre un gran bel bocconcino), street food pessimo (i camioncini dei panini luridi che ricordano la fame notturna da salamella e cipolla).
Ancora, qualche oasi di zucchero filato, un ristorante social (nel senso che puoi sederti e poi stare a guardare il tuo iPhone che si ricarica grazie ai charge point), un samaritano che offre il caffè.
GELATINI TURCHI
Oppure, se ti dovesse cogliere un’improvvisa voglia di gelati turchi (gelatini, meglio), il Fuori Salone di Lambrate è il posto giusto.
Ci spiegano essere un’antica tradizione siciliana, e per 2 euro ci danno un gelatino mignon al fico d’india, perché il pistacchio se lo sono già mangiato tutto.
Caruccio, oserei dire, e pure un pochino tropo dolce, ma almeno era qualcosa di mai visto.
CIBO STAMPATO
Oltre al solito sport di mascella, però, siamo anche qui a vedere il design, anzi il design applicato alla tavola. E, detto fatto, ci imbattiamo nella stampante 3D che propone piselli, patate e fagioli in forme inconsuete.
Non sono molto invitanti, ma presto si scoprirà che è il filo rosso del Fuori Salone: se il cibo è anti-spreco e “di riciclo”, insomma se è cibo amico del verde 9 volte su 10 non è molto bello da vedere.
EATSHIT
Apoteosi di questa teoria provocatoria, che poi è provocatoria ma pure vera, vengono trasportata nello spazio Eat Shit.
Letterale, oserei dire: ci sono divani esterni arrotolati in modo tematico, e dentro, tra ragazze belle e giapponesine sorridenti si può lasciare il proprio ricordino organico che verrà poi messo sotto vetro e mostrato al pubblico.
Non so se vogliano offrircelo da mangiare davvero, diffido dalle provocazioni, ma ne resto sempre affascinata.
Nel dubbio opto per il giardino esterno dove, per compensazione, c’è un ricco buffet gastronomico di fiorellini eduli essiccati e delizie profumate.
ALLEVAMENTO DI SUINI
Oltre all’acqua conservata in cui altri si sono lavati i piedi, c’è un’ultima cosa piuttosto inquietante in quest’area.
La ricostruzione giocosa e agghiacciante dell’allevamento di suini, che in questo caso pare pure peggio di un lager in versione fattoria Ikea.
ORATORIO
Insomma, non è che ci siano tutte queste grandi novità da mangiare al Fuori Salone, quindi si torna alla tradizione.
E il Don di quartiere lo sa bene e ha messo in vetrina i ragazzi dell’oratorio per la settimana dell’anno più redditizia: non c’è il banchetta americano della limonata, ma michette col salame a prezzi onesti.
Apprezzabile.
ORTI URBANI
Altra sicurezza assoluta: non conterete 20 passi senza che vi si prospetti un orticello urbano, in qualsiasi forma, colore o coltivazione.
Ma qui siamo a Milano e ci vuole di più: ecco che, tra la folla seguo lo sguardo e il ditino di un bambino che indica in alto e che ti vedo?
Un alveare metropolitano su una piccola gru, a distanza di sicurezza dai pedoni inferociti, ma abbastanza minaccioso.
PELLE DI PESCE
Una delle cose che mi ha colpita sono di certo le leggiadre creazioni di una designer danese che, a partire dalla pelle del pesce essiccata, ha creato con dei laser dei pizzi commestibili, piuttosto che delle decorazioni edibili.
Ecco il Fuori Salone che volevo: studenti o neolaureati con progetti fuori dal comune, oltre che fuori dalla fiera.
Questo è l’unico esempio di scarto di cibo che sembra anche più bello ora di un tempo.
FOOD DESIGN
E poi una miriade di oggetti dove food e design si ispirano a vicenda.
Ci sono i bicchierini stampati prendendo il via dal calco dei biscotti, un dosatore roll-on per miele, tavolini montabili su fusti d’albero, mini-mercati ortofrutticoli portatili, stampi per lecca lecca particolari.
Poi posate realizzate con un unico pezzo di metallo sagomato, piatti discutibili che sembrano già sporchi di cioccolato prima di essere usati.
Utili o trascurabili, certo, ma comunque ispirati.
CUCINA PORTATILE
Altra rivelazione della giornata è la cucina portatile e, soprattutto, indipendente.
Basta avere i fornelletti da campeggio, un bidone d’acqua pieno e siete a cavallo.
Non è un prototipo, ma un modello già in produzione da Officine Tamborrino, il che rende gli amanti dei pic nic dei potenziali acquirenti. Si muove facilmente sulle ruote ed è pure carina, mi è molto piaciuta.
PATATE FRITTE
Studenti universitari biondi, belli, dotati di creatività. Non che ne serva molta per fare le patatine fritte, ma vi assicuro che da questo cortiletto non ne uscirete senza.
A metà strada tra street-food e performance, c’è chi pela patate a velocità fotonica e chi le frigge, e poi c’è anche il maître di sala che fa un pesto di arachidi al mortaio e ve lo versa sulla salsa, sopra le frites. Sono belli, simpatici e le patatine meritano una visita.
Poi ci sono anche gli oggetti e il design, ma intanto fatevi una pausa solo e rigorosamente food.
Un’idea ottima quella di visitare il Fuori Salone con un designer che ha già ampiamente visto quello che c’era da vedere e con te si concentra su un food-tour.
Se volete vi passo il numero di Riccardo.
[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Carlotta Girola]