Milano, dobbiamo parlare. Prima di tutto però, volevo dirti che io, Milano, ti amo. Ti amo, tra le altre cose, per la tua capacità di dare accoglienza, lavoro e una casa dignitosa (dove per “casa dignitosa” intendo “una stanza singola con bagno in condivisione in zona Ferrante Aporti, wifi incluso nelle spese”) a tutti noi che ci siamo laureati in filosofia alla Statale, oppure allo Ied o al Politecnico.
Perciò, Milano, mi rendo conto che nutrire tutti i tuoi figli non sia facile.
Però stasera sono passata da via Voghera, in zona Navigli, e ho dovuto circumnavigare un assembramento di persone in piedi di fronte a una vetrina con appeso fuori uno slip da uomo di dimensioni elefantiache.
La gente beveva Prosecco al suo cospetto. Nel mentre, un uomo faceva delle fotografie utilizzando un cavalletto, e la sua professionalità rendeva il tutto solo più grave.
Questa lunga premessa, Milano, per dirti che io non ne posso più del Fuorisalone.
Prima che sia tu a dire qualcosa, sarò io stessa a fermarmi per un momento su questa fotografia: è il 2008. Mi trovo in una location. Ho in mano un fluttino di plastica conico, contiene del vino (i Nas non sarebbero necessariamente d’accordo sul termine). L’ho guadagnato facendomi largo a spintoni tra la folla. Nell’immagine sorrido diabolicamente.
Adoravo il Fuorisalone. Ogni anno recuperavo una copia della guida agli eventi, la sottolineavo con l’evidenziatore, ci mettevo dei post-it, assegnavo un numeretto agli eventi di ciascuna serata a seconda dell’ordine in cui intendessi frequentarli. Poi procedevo per cinque, infiniti giorni, a trascinare con brio svizzero i miei amici a ciascuno degli eventi programmati.
18:30: in Brera per ingestione di tartina con spuma di salmone e visione di sedie a foggia di faccia umana in scala moai dell’Isola di Pasqua.
Bisognerà far presto: alle 19:30 in Tortona la lampada di pelo che quando la accarezzi si accende e spegne, con corredo di pinzimonio di verdure, attende solo noi.
[related_posts]
Non indugiare con la pet-lamp therapy, però: alle 21 in Moscova si presenta questo spazio, o meglio questo “studio sulla potenza visiva delle linee sinuose e soprattutto dei colori, e il cui concept si presenta come un suggestivo inno alla dualità della materia, tra idealismo e pragmatismo” (da un comunicato realmente ricevuto. You rock guys!).
A mezzanotte, tutti in un capannone in zona Bicocca. Si balla musica techno, si beve birra nei bicchieri di plastica. Ci si incontra e ci si dice a vicenda: “Com’è bello quando c’è il Salone del Mobile. Sembra quasi di non essere a Milano.”
Ora sarà certo un chiaro segno dell’età se ciò che mi aspetto da Milano è che sembri proprio di essere a Milano.
Ecco quindi una piccola guida ai locali che nei giorni del Fuorisalone sono uguali a tutti gli altri giorni:
Cape Town, via Vigevano 3: Nonostante la prossimità con la zona di Tortona (contaminazione con vibe da Fuorisalone, in una scala da 0 a Fabio Novembre: 9) al Cape Town c’è sempre lo stesso irritante mix di giornalisti, producer, musicisti, di ogni sera. I cocktail non sono niente di che, ma sempre meglio della birra: però come si sta bene. Sembra quasi di essere a Milano.
Rebelot, Ripa di Porta Ticinese 55: il Rebelot non si turba per l’assalto delle genti del Fuorisalone. L’avventore che non si lasci distrarre dalla proliferazione di giardini temporary di erbe aromatiche lungo il Naviglio Grande potrà notare come aprile sia la stagione degli anatroccoli. Anatroccoli vs. Fuorisalone 6-0, 6-0.
Al Lambiczoon di via Friuli 49 si propone, come ogni sera, una delle migliori selezioni di birre artigianali d’Italia, con particolare attenzione alle acide. Con un po’ di fortuna, se chiederete lumi sugli eventi previsti per il Fuorisalone uno degli altri avventori vi picchierà.
[Crediti | Immagini: Vice Italia, Vera Classe, More then 30 seconds, Tiziana Teghini, LeiWeb, Archilovers]