Se anche voi, come me, avete invidiato l’intero cast e la troupe de “Il commissario Montalbano”, girato a Ragusa e dintorni, semplicemente per la possibilità di avere a portata di forchetta uno dei formaggi più buoni di tutta la Sicilia, allora le righe che seguono fanno per voi.
Ragusa infatti, oltre ad essere città del Barocco, è anche patria del Ragusano, appunto, delizioso formaggio a pasta filata, conosciuto e commerciato sin dal XV secolo. La forma, un parallelepipedo lungo circa 50 centimetri e largo oltre i 15, per un peso che varia dai 10 ai 16 kg, è complessa da maneggiare almeno quanto il nome da pronunciare: in dialetto, infatti, il nostro si chiama Cosacavaddu.
Se non volete rimanere incastrati tra vocali chiuse e consonanti doppie, vi basti sapere che il nome deriva dal siciliano “casocavaddu”, cioè cacio a cavallo, che rimanderebbe alla tradizione di lasciare il formaggio appeso al soffitto a cavallo di una robusta corda, che lascia un segno inconfondibile sulla crosta delle forme.
DOP dal 1996, deve tutta la sua bontà alle bovine, alle essenze spontanee e alle erbe dell’altopiano Ibleo e ai casari, che lavorano il latte non molto diversamente da quanto avveniva secoli fa.
Per arrivare ad avere un magnifico parallelepipedo dalla crosta color giallo paglierino (per le forme più giovani) che vira verso un marrone intenso (se la stagionatura è più avanzata), il latte viene fatto coagulare alla temperatura di 34 °C, aggiungendo caglio di agnello o di capretto. Formata la cagliata, la massa viene ridotta in piccoli pezzi con una “rotula” (un’asta di legno che termina con un disco): si aggiunge quindi dell’acqua per facilitare la separazione dei granuli, che devono raggiungere la dimensione di un chicco di riso.
La massa viene quindi pressata per far uscire il siero e cotta di nuovo: trattata con il liquido risultante dalla lavorazione della ricotta o con acqua a temperatura di circa 80 °C, viene coperta con un telo e lasciata a riposo per circa un’ora e mezza.
Già stanchi di aspettare?
Abbiate pazienza: mancano ancora le fasi di asciugatura (circa 20 ore) e di filatura. Per quest’ultima, cercate di intenerire un casaro portandogli in dono dei cannoli, mettetevi comodi e osservatelo al lavoro: la massa, tagliata a fette e ricoperta con acqua alla temperatura di circa 80 °C per circa 8 minuti, viene lavorata fino ad ottenere una sfera.
La forma finale, a sezione quadrata, si ottiene ponendo il formaggio in contenitori in legno detti “mastredde”. Il Ragusano viene quindi salato (in salamoia, dai 2 agli 8 giorni) e stagionato: le forme vengono legate a coppia, con funi sottili, e poste a cavallo di appositi sostegni o travi di legno per un periodo che va da un minimo di tre mesi ad un massimo di 12 (o oltre).
Se siete riusciti a resistere ad una lavorazione così lunga, ecco il premio: prendete un coltello e aprite un fendente nella crosta.
Troverete una pasta dal colore bianco tendente al giallo paglierino. Sentirete profumo di latte e di erbe. Siete ancora lì ad ammirarlo e annusarlo?
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Insomma, fatevi coraggio!
Tagliatene un pezzo e assaggiatelo: gusterete una dolcezza inattesa, con una nota leggermente piccante, che si fa più decisa nei formaggi più stagionati.
In cucina, rendetelo protagonista di primi piatti (pasta lunga con pomodoro e melanzane, pasta al forno con verdure o con ragù) o utilizzatelo in lievitati e torte salate.
La prossima volta che in tv daranno una replica di Montalbano potrete tranquillamente distrarvi dalla trama e pensare al vostro pezzo di Ragusano.