La domanda in altissima rotazione nei pochi neuroni che il bollore improvviso delle ultime ore non ha fatto evaporare è questa: cosa ci fa una livornese a Torino? Un po’ maledico il giorno in cui mi sono trasferita in Piemonte e un po’, per consolarmi, penso che a Torino non ci sarà il mare, ma almeno abbiamo il Castelmagno.
Per qualcuno non sarà proprio la stessa cosa. Bene, il mio obiettivo è convincervi del contrario.
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Non ce la farò con la lezioncina che tuttavia è obbligatoria.
Dicesi Castelmagno un formaggio a latte crudo vaccino, con pasta semidura e compatta, prodotto nella Valle Grana, vale a dire nei comuni di Castelmagno, Pradleves, Monterosso Grana, tutti in provincia di Cuneo.
Denominazione di Origine Protetta (DOP) dal 1997, tra gli addetti ai lavori il Castelmagno è ritenuto l’ingrediente chiave per misurare l’abilità di uno chef. Sempre loro, gli enogastroesperti, lo chiamano “il Re”, per evidenziarne il nobile lignaggio sancito da una corona di Alpi, che troneggia sulla crosta delle forme tanto grandiose da arrivare a 7 kg.
Di sapore già baldanzoso quando è giovane, diventa pungente, piccante quasi, se stagiona per 12 mesi formando la tipica erborinatura ottenuta infilzando le forme con ferri da calza.
Chi di noi ha poco tempo per cucinare e mangia sempre più spesso precucinati, precotti e takeaway dalla composizione ignota, deve provarlo almeno una volta. Oggi è più difficile imbattersi nei cloni di produzione industriale che nel 2006 stavano mettendo in ginocchio i casari che lo producono nel borgo omonimo, Castelmagno appunto.
Poi Slow Food si è inventata uno dei Presidi meglio riusciti: il Castelmagno d’Alpeggio. La sola differenza che l’occhio percepisce è il colore verde del marchio, ma questa cosa qui non ditela ai casari che da maggio a ottobre si isolano a 1000 metri d’altezza completamente votati alla causa del formaggio. Potrebbero prenderla male.
Okay, capisco di non avere scalfito le vostre sicurezze. Ma non desisto, ecco altre 5 buone ragioni per innamorarsi del Castelmagno.
1. UN FORMAGGIO CHE SA DI STORIA – Non che in Italia manchino formaggi centenari, ma le notizie sul Castelmagno risalgono al 1200, e qualcosa vorrà dire se veniva usato come moneta. Il Marchese di Saluzzo, beneficiario della regalia, era evidentemente un buongustaio.
2. LE MUCCHE SONO FELICI – Sembra uno slogan pubblicitario anni Novanta, ma il rigido disciplinare del Castelmagno prevede che la mucche siano nutrite solo con fieno fresco o essiccato, nessuna farina derivata da mais ogm.
3. UN OTTIMO RISOTTO – O dei fantastici gnocchi. Imponetevi di cucinare nelle prime ore del giorno e spalancate le finestre. Oppure accendete l’aria condizionata e preparate un risotto al Castelmagno. Nel caso lo facciate a settembre, ricordatevi di aggiungere i fichi.
4. ABBINAMENTO CON I VINI – Barolo e Barbaresco calzano a pennello. Se poi avete in programma un viaggetto nelle Langhe, tra bicchieri e morsi di Castelmagno potreste scoprire definitivamente la mistica del Piemonte.
5. UN FORMAGGIO CHE IL MONDO CI INVIDIA – Il Marchese di Saluzzo è stato solo il primo degli estimatori regali. Poi sono venuti Vittorio Amedeo II di Savoia nel Settecento e le teste coronate inglesi e francesi. In tempi più recenti è stato il preferito dei grandi critici, da Mario Soldati a Luigi Veronelli sino a Edoardo Raspelli che lo ha definito “la Rolls Royce dei formaggi”.
[Crediti | Immagini: Slow Food, Repubblica]