Alternativi. Chiamateli outsider, indipendenti, addirittura sovversivi, il senso è sempre lo stesso: proporre una prospettiva “altra” rispetto alla tradizione.
Esistono alternative anche nella grande famiglia dei formaggi: oltre a mucche, bufale, capre e pecore, insomma, c’è uno sparuto gruppetto di animali che con grande impegno e con esiti più o meno felici propone un’alternativa alla comune offerta casearia.
Se intendete provarli, però, tenete il bancomat a portata di mano.
Molto spesso, vista la quantità di latte necessaria per produrli o le condizioni in cui i casari lavorano, il prezzo è decisamente alto.
FORMAGGIO DI ASINA
Nonostante sia quasi impossibile caseificare il latte di asina (per la particolare composizione che rende inefficiente la tradizionale coagulazione enzimatica) qualcuno, sfidando la chimica, c’è riuscito. Il primo è stato Slobodan Simic, direttore della riserva naturale “Zasavica”, a Sremska Mitrovica, in Serbia. Il formaggio si chiama Pula e per una forma servono 25 litri di latte. Il costo, al kg, è di 1000 euro (il latte, al litro, costa circa 40 euro).
Dopo la Serbia si è mossa anche l’Italia: ad Expo è stato presentato infatti l’Asinino Reggiano, primo formaggio italiano di latte di asina. Prodotto nell’azienda Montebaducco di Quattro Castella (RE), è nato dalla collaborazione tra Davide Borghi, allevatore e il tecnologo alimentare Giuseppe Iannella, che ha individuato nel caglio di cammello il prodotto più adatto per la caseificazione (sperimentazione che ha suscitato alcune perplessità tra gli addetti ai lavori, per la verità).
Anche qui il prezzo è notevole, circa 1.500 euro al kg.
FORMAGGIO DI RENNA
Siberia e Lapponia sono i principali luoghi di produzione. Nella Repubblica di Tuva (Siberia Centromeridionale), al confine con la Mongolia, l’etnia tuvana dedita all’allevamento nomade produce tradizionalmente formaggio di renna. La resa è bassa: da un animale si ottengono due decilitri di latte a mungitura e occorrono due giorni per raccogliere la giusta quantità per produrre formaggio.
In Lapponia, un vero e proprio caposaldo è l’Aarul, una sorta di cacio stagionato dal sapore molto forte e solitamente mangiato a colazione.
FORMAGGIO DI ALCE
In una ridente fattoria di Bjurholm, nel nord della Svezia, Christer e Ulla Johannsson, proprietari della Älgens Hus (Casa dell’Alce) allevano alci, appunto. Aperta ai visitatori, si tratta di una sorta di fattoria-didattica/albergo in cui tutto ruota attorno al possente quadrupede.
Accanto ai “tradizionali” prodotti a base di alce da qualche tempo si produce anche il formaggio, che raggiunge la cifra considerevole di 750 euro al kg (ogni alce produce 5 litri di latte al giorno). Gli intenditori sostengono che il sapore sia simile al Feta. Pare che le alci che lo producono siano tre trovatelle e si chiamino Gullan, Haelga e Juno.
Se state pensando ai nomi dei mobili Ikea, sappiate che non siete soli.
FORMAGGIO DI CAMMELLO
Principali produttori sono i pastori nomadi dell’Africa come dell’Asia. Dal Sahara alla Mongolia, il latte di cammella, saporito e molto nutriente, rappresenta per i pastori un valido supporto nei lunghi spostamenti. Anche in questo caso la resa è bassa, ma alcuni produttori sono riusciti a commercializzarlo con esiti soddisfacenti.
Tra questi Nancy Abeiderrahmane, che nella sua azienda (Tivisky) in Mauritania produce il Caravane, una sorta di brie, e – da poco – anche gli Emirati Arabi: Cameliciuos, azienda con sede a Dubai, propone 3 tipologie di formaggio, per il momento destinate al mercato interno. Spostandosi ad Almaty, in Kazakistan, ecco il Kourt un formaggio durissimo, da grattugiare.
FORMAGGIO DI YAK
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Il primo paese a produrre formaggio dal latte del “bue tibetano” (anzi dal “dri”, la femmina del bovino) è stato il Nepal, seguito da Bhutan, India, Mongolia e Pakistan.
Aromatico e grasso, il latte di dri produce formaggio fresco o stagionato, simile al pecorino (questo il parere degli esperti: io l’ho assaggiato e mi sembra più una caciotta, in realtà).
In Tibet, per promuovere i prodotti di un caseificio sull’altopiano del Qinghai, Slow Food ha dato vita ad un presidio, un formaggio a lunga stagionatura capace di far fronte anche lunghi tempi di trasporto.
FORMAGGIO DI MAIALE
L’azienda, olandese, si chiama Piggy’s Palace. L’allevatore è Erick Stegink, un eroe. Pare infatti che abbia impiegato 40 ore per la mungitura, rischiando anche di dover fronteggiare il carattere non troppo pacifico delle scrofe.
Il formaggio costa 1500 euro per 500 grammi, ma più del costo il problema è quello dei controlli sull’alimentazione dei maiali (perché invece su quello che viene dato a mucche, capre e pecore siamo invece così tranquilli?).
[Crediti | Link: Dissapore, Gazzetta di Reggio, Slow Food, Daily Mail]