C’è stato un tempo in cui alcuni locali si sono detti alternativi mettendo in carta la gazzosa Lurisia, con packaging accattivante, ricetta vintage, una sorta di manifesto del Made in Italy con retrogusto da partigiano fiero. Quei tempi sono passati, e oggi la gazzosa Lurisia ha una sorta di silenzioso monopolio nei bar, ha travalicato l’accezione di radical chic ed è entrata di diritto nello Chic-e-basta.
La conseguenza diretta di questo voltafaccia politico di una gazzosa é stata la percezione del cliente che ha iniziato a collezionare i vuoti, a venerarle come simbolo dell’imprenditoria di successo. Da bevanda del circolo di paese, la nostra buona gazzosa Lurisia si é trasformata in millesimato d’autore. Suo malgrado, si è trovata senza accorgersene da prodotto intellettuale di sinistra a status symbol dell’intero arco parlamentare.
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Ora prendete la gazzosa Lurisia e sostituitela con il baffo e la pelata rassicurante di Oscar Farinetti, che da imprenditore virtuoso, bandiera di chi ha saputo trarre il meglio dall’offerta gastronomica italiana e trasformarla in eccellenza di mercato, oggi vive un’inversione nella percezione comune.
Da eroe a malfattore, da santo dell’agroalimentare a martire della stampa, da imprenditore illuminato a sfruttatore delle masse eataliane.
Tutto questo perché qualcuno, da dietro le quinte degli scaffali più patinati del mercato, tra una conserva di pomodoro da 6 euro e un presidio SlowFood, ha osato far presente che “però non è tutto così perfetto”.
Dalla sede Eataly di Firenze, infatti, il malcontento dei dipendenti silurabili (e forse col supporto di quelli già silurati) è arrivato fino alla Rete, con la recente pubblicazione di una inchiesta interna che svela le magagne farinettiane nel mood “anche i ricchi piangono”.
In sintesi, si parla di troppi contratti da interinale, di orari e turni ballerini, di inspiegabili e repentini cambi di reparto, di arbitraria decurtazione delle ore di lavoro e di parecchie altre cose.
La caduta agli inferi dell’angelo ribelle Farinetti inizia con un Osanna nell’alto dei pascoli piemontesi, passando attraverso l’incarnazione del verbo “assumere” (personale), e poi scendendo sempre più in basso con gli scioperi, i licenziamenti, le 8 euro lorde all’ora.
Nel frattempo, a rendere più chiacchierata la faccenda, il flirt dichiarato con Renzi, che lo brama, lo cita, lo ama e lo candida e poi lo trasforma in esempio concreto della sua visione economico-politica. Accade che, ove possibile, gli anti-renziani (di sinistra e di destra) iniziano a trovare indigesta la gazzosa Lurisia.
Che se lo sia cercato o meno, Farinetti nel suo ruolo di imprenditore 2.0 ci sguazza alla grande: sia quando strizza l’occhio al premier, sia quando si muove nei chiaroscuri dell’articolo 18. Lui, semplicemente, é un simbolo. Anzi é il simbolo di tutto quello che oggi l’Italia offre, nel food e fuori dal food, nella busta paga e fuori dal sindacato. Questa elezione a simbolo supremo del Made in Italy é full optional e comprende il pacchetto completo: tante cose buone, ma anche quelle che fanno scendere in piazza i lavoratori.
Non c’é da stupirsene. Siamo sicuri che il nostro angelo ribelle non si stia semplicemente adattando allo stato di fatto e che non possa fare molto altro dato lo stagno putrido in cui si muove (o meglio resta fermo) il mercato del lavoro in Italia?
Gli 8 euro lordi, oggi come oggi, sono davvero uno scandalo così inaccettabile?
Io potrei citarne molti altri di imprenditori che pagano allo stesso modo e non finiscono sui giornali tre volte alla settimana. Qualcuno dovrebbe occuparsi dei perché, piuttosto.
Farinetti, intanto, paga lo scotto anche per gli altri, il che non ci rattrista minimamente, ma non si capisce bene perché dopo averlo osannato, ora tutti gli diano addosso.
Piuttosto sarebbe interessante capire se anche i lavoratori di New York scenderebbero in piazza, o se la gazzosa Lurisia abbia spaccato il mercato anche negli USA.
[Crediti | Link: Huffington Post, Clash City Workers, immagine: Ansa/ Maurizio degl’Inoocenti]