Un tranquillo sabato pomeriggio di sole a Milano, poco traffico, parcheggio facile e tutto liscio. A Expo 2015 manca ancora un mese. Mi sento fortunata, oggi: è una bella giornata, sono venuta a Seeds&Chips, “l’evento dove cibo e tecnologie si incontrano” con lo scopo preciso di fare una prova d’assaggio del cibo uscito dalle stampanti 3D.
L’ho visto in tv, ne ho letto sul web, e oggi è il giorno in cui finalmente posso vedere da vicino come funziona.
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D’altra parte sul sito di Seeds&Chips, tra stuoli di startup del food, dicono esserci anche le stampanti 3D.
Appena entrati, manco a dirlo, il primo stand che incontriamo è quello di Eataly: da qui si può fare la spesa virtuale solo facendo una foto del prodotto sul pannello, e poi ritrovarsela a casa.
Nulla di nuovo, ovviamente, serve comunque a promuovere l’e-commerce sul sito, ci spiegano. Ad ogni modo, devo trovare le stampanti e mangiare, non perdiamo di vista l’obiettivo.
Ma dribblare gli espositori non è semplice, visto che di visitatori ce ne sono davvero pochi, e c’è chi agli stand non vede l’ora di condividere la propria idea tecnologico-enogastronomica geniale.
Ad esempio, c’è un forno ad energia solare che potrebbe risolvere un sacco di problemi, non solo dove l’energia non è facilmente alla portata di mano, ma anche per grigliate e dehors estivi rigorosamente green.
Le radiazioni solari, tra riflessi di specchi e vetri temprati, trasformano in una mini-serra il vano cottura.
Nel frattempo iniziano le conferenze, ma di stare seduti non se ne parla, da lontano ha già attirato la mia attenzione uno stand dove campeggia un marchingegno che somiglia a un deumidificatore e un bicchiere d’acqua con della melma verdissima in superficie.
In realtà bisogna fare la fila, attendere il proprio turno, perché la poca gente che sta visitando gli spazi si concentra su questa strana cosa.
Si chiama khai-nam (in tailandese letteralmente uova d’acqua) ed è il più piccolo vegetale sulla terra, talmente piccolo che te lo mostrano anche sotto la lente d’ingrandimento. Minuscolo sì, ma è anche la “pianta” che cresce più velocemente al mondo. Gli bastano 48 ore per duplicarsi di volume, e potete farlo crescere e moltiplicare anche da casa grazie a quello strano aggeggio pieno di luci (con l’aggiunta di cartucce di fertilizzante naturale).
Detto questo, che ce ne facciamo del khai-nam?
Ovviamente possiamo farci dei succhi di frutta, dei frullati o condirci la pasta facendo un surrogato thai-filippino del nostro pesto: è un super-super food (doppia razione di “super” visto che in un solo cucchiaino da caffè ci stanno le proprietà di 5 porzioni di frutta e verdura).
In bocca sempra un’insalata tritata, il sapore non è la fine del mondo, è giusto dirlo, ma sempre meglio delle bacche di goji per quanto mi riguarda. Per capirci meglio, somiglia a dell’erba leggermente “broccolata”.
Passiamo attraverso una infinita sfilza di stand per startup vagamente nebulose, di quelle che non ci si capisce nulla dal nome e nemmeno dagli sguardi annoiati degli espositori.
In tantissimi cercano di “dare una mano ai piccoli produttori che non hanno un e-commerce”, ma c’è anche chi darà una mano ai tanto attesi turisti di Expo2015 e spedirà i vini di cui si innamoreranno direttamente al loro domicilio in giro per il mondo: si chiama winezon e si possono già acquistare on-line circa 500 etichette.
Sì, va bene dare una mano agli altri, ma io cerco spunti edonistici in attesa di arrivare al momento famigerato della stampante di cibo in 3D.
Nel frattempo chiacchieriamo con due ragazze che ci presentano TheGustibus, una app in costruzione grazie alla quale (per ora) si fa opera di stoccaggio info-immagini. Quando tutto andrà come deve andare basterà una fotografia del prodotto confezionato per scoprire dove altro poterlo trovare e comprare (oltre alla possibilità dell’acquisto online).
Non dovrebbe più essere un problema, per i gastrofighetti vittime delle applicazioni, cercare quella cosa che hanno mangiato in vacanza in Sicilia per fare un esempio. Un classico: un’idea che avrebbe potuto avere un bambino di sei anni, solo che io non ci avevo pensato.
Ci conquista anche l’idea di Mamau, un take away tra privati. Astenersi chef o aspiranti tali, se no arriva Striscia la Notizia a metterci il naso.
Ovviamente, per apprezzare questa piattaforma non devi fare parte della tipologia umana dei complottisti, devi affidarti alla capacità culinaria degli altri, e soprattutto devi essere assoluto fautore del cibo fatto in casa, anche se la casa non è la tua.
Per il ritiro del piatto ci si mette direttamente d’accordo col cucinatore. Ho delle perplessità, chissà se lo farei davvero, e comunque allo stand non ci sono piatti da assaggiare, forse sarebbe stato carino far vedere che i cucinatoti non sono degli avvelenatori.
Da lontano vedo un oggetto. Mi ci tuffo, ovviamente. Non nego che in mezzo a tutte queste dimostrazioni su tablet, e-qualsiasicosa e assaggi virtuali mi fa piacere chiedere a questo simpatico signore cosa sarebbe questo dischetto.
Nientedimeno che Pizza Hut in Ontario da quest’estate fornirà ai clienti La Comanda, apparentemente una calamita da frigo.
Basta un click (ecco, l’ho detto: credo di averlo sentito 400 volte nel mio pomeriggio qui) sul display e parte la tua ordinazione. Attraverso il bluetooth, sul pc si possono compilare menu di famiglia, piatti preferiti e che si ordinano più spesso, in modo che con un solo tocco arrivi al destinatario la richiesta dell’ordinazione.
Poteva forse mancare la lista dei vini su Ipad? “Che novità”, direte voi. Ma con WineAmore si può anche partire da un piatto e vedere quale vino viene suggerito per l’abbinamento. Più veloce di un sommelier, insomma.
Mentre mi guardo intorno cercando le stampanti, mi imbatto nel sorrisino di Gualtiero Marchesi. Qui, tra una telefonata e l’altra (‘che lui è sempre un VIP), sta seduto allo stand della sua accademia.
Ci spiegano che si tratta di un prototipo che riesce a riconoscere gli alimenti presenti nel piatto attraverso una particolare tecnica di computer vision. Però non esiste davvero, e ci stanno ancora studiando.
Perché secondo me è impossibile riconoscere il brodo di gallina da quello di manzo, specie se sei la fotocamera di un computer. Ma io, si sa, di queste cose non ci ho mai capito niente. E comunque Gualtierone nazionale pare in forma smagliante.
Ci siamo. Ecco la stampante di cioccolato. E’ piccola, immaginavo fosse più ingombrante e comunque qui c’è solo questa: quella per stampare i cioccolatini, sul sito potevano anche usare il singolare.
Aspettiamo, osservando da vicino e anche nelle retrovie la stampante, gli annessi e connessi.
Nel frattempo penso a cosa posso chiedere a Liang Hao (c’è scritto il suo nome nei bigliettini da visita allo stand), e soprattutto con che forma vorrei farmi stampare un cioccolatino. E aspetto, e aspetto. E poi faccio un giro, perché qui non si vede nessuno.
In sala stampa io e il mio accompagnatore, raccoglitore di brochure professionista, ci dedichiamo alle chips: ce ne sono di buone.
Poi torniamo allo stand: ancora nessuno.
Alla fine (ve la faccio breve, ma abbiamo aspettato davvero tanto) ci dicono che l’anglo-cinese fondatore di Choc Edge non è stato bene ed è tornato in albergo. Girano voci non ufficiali, però, che dicono di averlo visto alla presentazione del padiglione statunitense di Expo che deve essere lì vicino.
Delusione e fastidio.
Mi spiace, avrei voluto raccontarvi il sapore del cioccolatino stampato. Ma non finisce qui, è una promessa.