Milano, esterno giorno. Come ampiamente spammato dalle pubblicità onnipresenti inaugura il temporary store di Ikea per il (fuori) salone del mobile, che poi resterà aperto fino alla fine di Expo2015. Siamo a due passi dai navigli, in uno dei quartieri più vivi e iperattivi della città a livello gastronomico. E non è un caso che, proprio qui, Ikea sventoli la sua bandiera, tra polpetterie e hamburgerie metropolitane.
C’era una volta la polpetta dell’Ikea, ricordate? [related_posts]
Correva l’anno 1985 e di carne ne è passata sotto le librerie dai nomi impronunciabili.
Ci siamo passati tutti, inutile ricordarlo, che sia stato un giorno buio di trasloco oppure un sabato mattina di noia e shopping compulsivo.
Prima o poi, infatti, tutti abbiamo pagato pegno gastronomico al design low cost della catena svedese.
Oggi che le mitiche polpette di carne (che siano di cavallo non dichiarato, piuttosto che di altro materiale animale, poco importa) compiono 30 anni, si consuma un rito dovuto: la loro evoluzione ai tempi moderni.
Intanto lo store mordi e fuggi sviluppa tre piani di pura perdizione per gli amanti del genere.
La follia collettiva inizia già all’ingresso, quando in strada incontriamo una coltivazione di pomodori e peperoni metropolitani, intenti a crescere e farsi fotografare da una schiera di osannanti eco-friendly che se li mangerebbero anche dopo una maratona di smog.
Se siete già stati in passato vittima di Billy-libreria o, in tempi durissimi, avete collezionato matitine di legno senza trovarne reale impiego, allora dovete girare al largo da questa trappola per strisciatori incalliti di carta di credito.
Per la prima volta le forme e i colori di Ikea, seriali e quindi riconoscibili da lontano, sbarcano nel cuore della città e, non avevamo dubbi, arrivano dritti al cuore dei food-victim. Non c’è altro che materiale da cucina, in tutte le salse, le forme, le cromie.
Ce la vendono e ce la insegnano, gli svedesi, o almeno ci provano.
Su vasellame, posateria, utensili inutili che al momento sembrano imprescindibili non si discute: ‘sti svedesi sono maestri.
Infiocchettati in splendido abito radical chic, tra riciclo e materiali ecocompatibili, messi in posa ad arte in maniera scientifica, si farebbero tutti comprare. Almeno da me, che sono ipercritica sull’argomento, ma poi ci casco sempre come una pera.
Poi però si arriva al cibo. E sono dolori, altro che quando manca una vite nel set del comodino da montare.
Lo dico da subito: non trovo spiacevoli le polpette Ikea, o almeno se accompagnate dalla salsa al sapor panacea di tutti i mali.
Da sempre, da prima dello scandalo della carne di cavallo, da prima di prendere coscienza che “sarebbe meglio di no”, le polpette Ikea sono come il Big Mac, un male quasi necessario per comprendere il bene superiore.
E, visto che ormai ci sono, dico anche che le patatine Ikea croccantissime e “legnose” sono state il mio primo approccio alle chips di diversa concezione rispetto alle classiche, quindi ci sono affezionata.
Per il resto, nel temporary store aspettatevi tutto il peggio.
Nel reparto furbetto, quello orchestrato per farvi spendere soldi, si trovano i prodotti che ormai sono conosciuti: creme spalmabili dalle grafiche tristemente accattivanti, succhi di frutta “ricercati” (ai fiori di sambuco, ad esempio), biscotti speziali, birra svedese e tantissime altre porcherie.
Se vi venisse per caso voglia di leggere da vicino le etichette, scoprireste che Ikea non gode più perversamente della deforestazione con la fattura dei mobili di legno, e con l’uso massiccio dell’olio di palma. Ora ci vanno giù pesante di olio di colza.
Ok, direte voi. Vado oltre anche io: nessuno mi ha chiesto di farci la spesa, qui.
Salgo al piano di sopra, dove la visione futuribile di Ikea sfiora vette dannunziane di superomismo presentandoci la sua personale visione di “cucina del futuro”.
No, non vi scaldate: a parte qualche giochetto per bambini, non ci raccontano nulla di nuovo, ritritandoci la minestra dello spreco dell’acqua, del riciclaggio, e facendo un po’ di terrorismo psicologico.
Ikea prevede che nel 2025 (tra soli 10 anni) la cucina non sarà più solo uno spazio dedicato al cibo, ma sarà polifunzionale visto che saremo tantissimi, vivremo in case piccole e quasi sempre in grandi città.
Vado a mangiare una polpetta, che è meglio. Al primo piano, oltre la cucina apocalittica del futuro, c’è il bistrot. Ma, sorpresona, c’è pochissimo di conosciuto. Le polpette si sono evolute, si sono triplicate e si sono lightizzate.
Ce ne sono di tre tipi diversi: svedesi classiche, vegetariane, di pollo. Tutte servite in cartoccio e senza salsa.
Le polpettone di Ikea senza salsa? Sì, lo fanno per davvero. Quelle vegetariane non si capisce bene se siano cotte o meno, in bocca scricchiolano e il mais impera. Di patate fritte nemmeno l’ombra.
Ci sono al forno, forse vogliono fare i salutisti, non è dato sapere.
E poi una schiera di panini “nuovi” non perché abbiano ricette o ingredienti inconsueti, ma perché prima non c’erano semplicemente, ma sono esattamente come te li aspetti dal bistrot Ikea.
Ci sono i rotoli con salmone, gamberetti o vegetariani (da questi ultimi state lontani, soprattutto se il cetriolo non è la vostra passione, poi non dite che non ve lo avevo detto), poi i sandwich con le polpette e il panino con le aringhe.
C’è la pizza. O almeno, voi la chiamate pizza una roba fatta con “formaggio svedese”? Comunque costa 1,50 euro, la concorrenza sleale è con l’hamburger basico di Mc Donald’s da 1 euro.
Il resto è venduto, quasi tutto, a 3 euro, ma le porzioni sono da uccellino milanese malnutrito.
Al piano di sotto, invece, c’è un laboratorio di cucina che al momento era deserto e un po’ inquietante. Non è dato sapere in anteprima chi, cosa, come, quando. Mi hanno detto di seguire il sito e scoprirlo da sola.
Ovviamente il reparto food non è il core business di Ikea, questo lo sapevo, ma credevo si sarebbe presentata meglio all’appuntamento con Expo e con la città. Se vi va, o se vi servono dei bicchieri nuovi, fateci un salto.
Ma andateci dopo aver già mangiato, fatevi questo favore.
[Crediti | Link: Dissapore, Corriere]