La vera notizia è che la pizza di Domino’s Pizza a Milano non fa schifo. Certo, non sarà la pizza della vostra vita, questo è chiaro. Ma nemmeno la peggiore, visto che esistono ameni luoghi chiamati Spizzico. L’arrivo del primo Domino’s Pizza in Italia ha messo sul chivalà quella schiera di puristi della sacra pizza che hanno visto contaminato un territorio finora vergine: l’Italia, la Patria (con la P) della Pizza (con la P). Tutti lì a puntare il dito, borbottare “la catena americana”, “chissà che razza di pizza” e cose simili. Invece, cari miei, ci sono pizze ben peggiori.
Domino’s Pizza non ha scelto il centro di Milano per lo sbarco sborone da bravo brand ammericano, ma Bisceglie, defilandosi in zona suburbs. Quindi, lo immaginerete da soli, il punto vendita non brilla per fighetteria come tutti i nuovi fast-slow-food aperti in zone più patinate della città.
A dirla tutta non è un granché, ma poco importa, tanto solo una decina per volta sono i fortunati che possono permettersi di mangiare una pizza seduti: grande come un kebabbaro qualsiasi, ma con una cucina parecchio più grande, il Domino’s di Bisceglie è fatto per ordinare una pizza e andarsela a mangiare a casa.
Fatto sta che probabilmente nel quartiere non succedeva qualcosa di interessante da tempo, dato che il take away pare diventato l’attrazione del giorno. Bambini, nonni, immigrati, pensionati che parlano dialetto, coppiette liceali: ci sono tutte le tipologie umane, tutte intente a fare la coda per accaparrassi la nuova pizza.
E non sono nemmeno le 7 di venerdì sera. Mi viene il dubbio che si “mangi con le galline” a Bisceglie, altro che metropoli. Siccome immolarsi per la causa ci sta, ma io una pizza con l’ananas non la mangio nemmeno sotto tortura, decido di optare per la cosa più italiana del menu.
E poi c’è anche il bollino della DOP della Mozzarella di Bufala campana a cantare come una sirena dalla carta, quindi ho deciso per una pizza pomodini e Bufala. Sì, banale, ma anche se a Bisceglie come seconda lingua c’è il filippino, siamo in Italia (quella delle due P) e voglio misurare Domino’s con la merce di casa.
In carta, comunque, ci sono anche classiche americanate come l’Hawaiana (pomodoro, mozzarella, prosciutto di Parma e ananas) o la Extravaganza (il mondo: pomodoro, mozzarella, salame piccante, würstel, prosciutto cotto, cipolle, funghi freschi, olive, peperoni). E poi abbiamo i classiconi come cotto e funghi, capricciosa, quattro stagioni e tonno cipolle.
Si ordina e poi ci si guarda intorno smarriti: questo è il galateo di Domino’s Pizza, e io mi adeguo al mood. Mi ipnotizzo davanti ai pizzaioli in vetrina, insieme ai bambini che hanno una postazione dedicata da dove osservare il lavoro: un modo alternativo per non impazzire di noia mentre si fissa lo schermo che tiene il conto alla rovescia dell’arrivo della pizza.
Ora che li guardo meglio, forse pizzaioli non è la parola giusta: la pizza qui è il risultato di una catena di montaggio umana. Tutti posizionati in fila come soldatini con il disco che non si ferma mai. Tempo di attesa: 12 minuti, ma considerando la fila non è male.
E’ inutile dirvi che non è una pizza artigianale, non siamo mica a Posillipo, ma se dovessi scegliere preferirei Posillipo, è ovvio. Tuttavia la pizza Domino versione Italia non è così orribile come la mia malafede a prescindere mi suggeriva prima di entrare.
Ho il basilico fresco, i pomodorini freschi, la mia mozzarella di Bufala mezza sciolta e mezza cruda (un po’ freddina, a dire il vero). Pizza da catena senza fronzoli, senza velleità. 8 euro non sono mica pochi, però.
Ho deciso: spinta dall’entusiasmo dello scampato suicidio papillare, provo anche il tiramisù, tanto per fare l’en plein all’italiana. Mi si palesa l’orrore: una vaschetta completamente congelata, tanto da non poter nemmeno infilarci il cucchiaino di plastica che rischia l’istantanea frantumazione.
Ho atteso.
E poi ho atteso.
E poi mi sono chiesta avessi dovuto aspettare più di Maria Cozza per la sua pizza.
E poi mi sono detta che quel che sono riuscita a recuperare dal raschietto/cucchiaino era già abbastanza. Speriamo che Maria Cozza non abbia ordinato il tiramisù.