Dopo Harvard Davide Oldani conquista il Wall Street Journal: è addirittura il quotidiano economico Usa ad anticipare le prossime mosse dello chef milanese, che – come dice il prestigioso Journal – andrà a “espandere” il suo impero. L’impero di Oldani colpisce ancora vicino Milano, a Cornaredo, sede del D’O originale, dove lo chef imprenditore sposterà il ristorante in una nuova sede che il WSJ definisce “flagship” ovvero quella che sarà l’ammiraglia dell’offerta gastronomica oldaniana, in apertura in estate, al massimo a settembre.
[related_posts]
Nell’autunno invece sarà la volta di FOO’D, un nuovo concept che vedrà la luce questa volta non in Italia, ma a Manila, presso lo Shangri-la Hotel.
Il nuovo D’O, che forse risolverà i problemi di quello originale, 40 coperti e otto mesi d’attesa per trovarne uno libero, sarà circa il doppio più grande della precedente iterazione e includerà anche una cucina nel seminterrato, dove lo chef potrà cucinare per gli ospiti o tenere iniziative particolari.
Progettato dall’archistar Piero Lissoni, l’apertura dovrebbe sfruttare l’orda di turisti che arriveranno a Milano per l’EXPO 2015, con la certezza che molti di loro vogliano fare tappa a Cornaredo anche solo per gustarsi la Cucina Pop di Oldani.
A dire il vero al momento non c’è alcuna certezza su quelli che saranno i prezzi del nuovo ristorante, se sapranno mantenere il rapporto qualità/prezzo che hanno reso popolare il D’O, da Harvard a Hec Paris, o se questa volta ci saranno delle correzioni al rialzo.
Oltre alle notizie nude e crude, l’articolo scritto da Jay Cheshes si sofferma in particolare sulla cura che Oldani esprime non solo per la semplice attività gastronomica, ma anche per il suo impegno imprenditoriale legato al design, in una ricostruzione che sembra ispirata ad una delle tante citazioni Steve Jobs, ovvero “Il design non è come sembra o come appare. Il design è come funziona”.
Viene citato quindi un piatto da zuppa di sua progettazione, disegnato per far sì che sia più semplice raccogliere ogni singola cucchiaiata del liquido; l’uso di alcuni bicchieri per vino, con un orlo asimmetrico più alto, per variare l’inclinazione della bevanda mentre si sorseggia dal calice, modificando inevitabilmente anche la vicinanza olfattiva del liquido e alterandone il sentore; si finisce poi con il Passepartout, una posata nata dalla combinazione fra forchetta, coltello e cucchiaio, ma che alla fine a me sembra solo una cucchietta un po’ più elaborata.
Insomma, dalle righe del Wall Street Journal emerge una figura da Re del(la Cucina) Pop, impegnato non solo a generare piatti di qualità, con ingredienti di prima scelta e una buona dose di rinnovamento in chiave moderna della tradizione del territorio, ma anche a curare ogni aspetto che circonda l’esperienza gastronomica, fatta non solo di cibo ma anche di design e cura dei particolari, delle metodologie e degli strumenti di degustazione.
Non so a voi, ma questo ritratto di Davide Oldani mi ha fatto davvero in più riprese pensare ad una sorta di Steve Jobs della tavola, anche in una citazione dello chef meneghino, quando dice “la filosofia Pop non è marketing; è qualcosa di serio, si tratta anche di alta qualità che sia accessibile”.
In fondo il successo del D’O nasce proprio dalla volontà e capacità di offrire per la prima volta una cucina raramente accessibile a quei prezzi. Ecco, forse sul discorso prezzi l’analogia con Steve Jobs (per qualcuno dissacrante, lo ammetto) potrebbe anche interrompersi… o forse no?
Be’, di sicuro non vedremo mai un D’O Phone, mentre quello che potremmo chiamare il “D’O Spoon”, il famigerato cucchiaino “solo bordi” per il caffè espresso, quello sì, c’è già. E probabilmente non sarà l’ultimo.